Paco de luna - Terzo quadro [gianbarly] Sala d'attesa

Da Gianbarly

Della Robbia - Visitare gli infermi


Finito il lavoro nel vicolo, ci eravamo incamminati verso l’ospedale. Ilpensiero di Giuliana ci opprimeva e volevamo starle vicino, per quantopossibile.Nella sala d’attesa della Terapia Intensiva trovammo gli altri. Sui lorivolti leggevamo la nostra stessa angoscia.
Le informazioni date loro dai medicierano sconvolgenti: oltre alle fratture agli avambracci ed alle numerosissimeecchimosi su tutto il corpo, aveva una frattura alla base cranica, un principiodi sfondamento dell’osso parietale destro, un’orbita gravemente danneggiata percui avrebbe perso sicuramente un occhio e numerose costole rotte. Una di questele aveva lesionato un polmone, provocandole un pneumotorace. Era in coma edalla domanda di quante possibilità avesse di riprendersi il medico avevaallargato le braccia.Non restava che attendere. Stazionavamo in quella stanza irreale comeimmersi in un liquido denso, in un tempo sospeso, infinito. Ci muovevamopochissimo, con gesti lenti, evitando di parlare. Alla luce cruda dei neonl’ambiente si rivelava un qualcosa di artificiale, inadatto ad ogni forma disocialità. Ogni forma di calore umano era come assorbita dalle pareti biancheed immediatamente neutralizzata.  Avevamoin mente, tutti quanti, molte domande, ma nessuna voglia di tirarle fuori inquel momento.Ad un certo punto uscirono dal reparto due figure ripiegate, che sireggevano a vicenda: i genitori di Giuliana. Solo la madre ci diede un’occhiatafaticosa, come a chiederci di non assillarla, poi li vedemmo scivolare versol’uscita.
La loro apparizione ci scosse un poco. Cominciammo a parlare fra noi,dando la stura a quello che ci tenevamo dentro. Ognuno aveva qualcosa da dire,quando l’aveva vista l’ultima volta, cosa si erano detti, ma chi se lo potevaimmaginare, cosa ci faceva in quel vicolo, di notte poi. Mi accorsi che forseero l’unico a sapere della sua vita notturna. Per gli altri lei era,probabilmente, la scialba Giuliana di cui ci si accorgeva pochissimo, inredazione.Chi sarà stato? La domanda, fino a quel punto evitata, ci costrinse ariprendere, almeno in parte, il nostro abito professionale. In fondo eravamogiornalisti e TeleCittà era un’emittente molto sensibile ai problemi dellasicurezza dei cittadini. Non a caso era stata decisa su due piedi la direttanon-stop. La linea editoriale della tele era tanto semplice quanto chiara:grande interesse per i fatti locali e due bandiere da portare avanti sempre ecomunque: la delinquenza dilagante ed il degrado dei costumi. Non c’era fattodi cronaca che non fosse sviscerato alla luce di possibili comportamenti chepotessero allarmare i nostri spettatori. In fondo, se Anna Maria aveva perso lasua posizione per colpa di Pierfrancesco era proprio per l’importanza che latele dava agli episodi di delinquenza.
Chi era stato a ridurla così? Qualcuno azzardò l’ipotesi di un maniaco, odi qualcuno conosciuto da poco, su qualche chat. Riccardo, stranamente quietoin quell’occasione, gettò un’occhiata significativa verso la parete oppostadella sala d’attesa. Ci voltammo quasi all’unisono. In effetti non l’avevominimamente notato ma da quella parte c’era una persona che non faceva partedel nostro gruppo. Era un uomo sui quarant’anni che si muoveva avanti edindietro con passo pesante. Sembrava roso da una rabbia tremenda, che parevasul punto di esplodere. Non dava segno di accorgersi di noi. Mi domandai comefaceva la dolce Giuliana a stare con uno così.Proprio in quel momento il tizio si risolse a fare qualcosa. Andò allaporta del reparto e bloccò un’infermiera che ne stava uscendo. A voce altadisse che doveva vedere Giuliana, chiedendo che lo portassero da lei.L’infermiera cercava di calmarlo e scuoteva la testa. Lui insisteva,incalzandola con modi sempre più ultimativi. Arrivò un collega della donna chein maniera calma, ma con grande decisione,  gli spiegò che non era possibile in quanto –per la legge – lui non risultava essere parente della donna. Lo pregò di averepazienza e lo convinse a ritornare al suo posto.Facemmo qualche illazione a mezza voce, senza però la voglia di insisteresu quel tasto. Era già abbastanza imbarazzante la situazione in se, senzadoverci ancora mettere sopra l’ombra di un sospetto. Avremmo seguito il lavorodella polizia, aspettandone i risultati.
Ad un certo punto arrivò Paolo. Fui felice di vederlo. Venne dirittoverso di noi e si informò brevemente della situazione. Ascoltava impassibilequello che gli altri gli dicevano. Fece un paio di domande, poi cercò dovesedersi. Io gli feci posto accanto a me.Provai a chiedergli un’opinione, ma si limitò a sollevare le spalle. Mi domandaidove fosse stato, fino a quel momento. Di sicuro era l’unico che non si fosseprecipitato al lavoro non appena raggiunto dalla notizia.Intorno a noi ricominciò un sommesso chiacchiericcio. Paolo, al suosolito, sembrava seguire ogni discorso ed ogni tanto buttava lì una parola.Anche in questa occasione ero ammirato delle sue capacità. Pure a me davanofastidio le chiacchiere vuote, fatte solo per dare aria alla bocca. Non mipiaceva che qualcuno potesse cercare di farsi notare semplicemente sparando laprima cazzata che gli veniva in mente. Soprattutto in un momento come quello.Io però non sarei riuscito ad impedirlo. Mi limitavo ad ascoltare e, quandoriuscivo a dire qualcosa, le mie parole scivolavano via senza lascia traccia,come se non le avessi pronunciate. I suoi interventi, invece, erano sempreazzeccati e riuscivano a riportare su di un piano di realtà quelli chedivagavano troppo, tirando fuori ipotesi fantasiose o argomenti non pertinenti.
Paolo era perfettamente padrone dellasituazione e cercava di mantenere il suo solito atteggiamento distaccato. Peròio che lo conoscevo bene mi accorgevo che era turbato. Riuscivo a vedere neipiccoli dettagli del suo comportamento quei segni rivelatori di uno stato diprofonda agitazione. Pensai che si dimostrava così una persona sensibile,partecipe del dramma che toccava la nostra collega. Ad un certo punto ricevetteun messaggino sul cellulare; diede un’occhiata infastidita al display e poi locancellò con un gesto di stizza. Credo che nessun altro lo avesse notato, ma ame non era sfuggito. Anche se non voleva darlo a vedere il mio amico Paolo erastato profondamente colpito da quello che era successo.

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