Il paco, questo il nome più diffuso, è ottenuto dal processo di trasformazione del PBC (pasta base di cocaina) in cloridrato di cocaina (cioè la cocaina pura). Composto con elementi di scarto come acido cloridrico, ammoniaca e cherosene, viene tagliato con sostanze dall'altissimo grado di tossicità quali la polvere di vetro delle lampade alogene. A differenza della più famosa polvere bianca, però, ha una “potenza di fuoco” di 400 volte superiore.
È lo strumento principale con cui le grandi imprese del mercato della droga – che elaborano nelle stesse cucine in cui si prepara il Paco anche la cocaina che sbarcherà negli Stati Uniti ed in Europa – stanno aprendosi a nuovi mercati. È la riproposizione, in scala, di quel che avviene nel processo del capitalismo globale : ci si apre prima ai “grandi” mercati, quelli delle piazze più importanti e poi, quando ci si è fatti un volume d'affari (ed un nome) di tutto rispetto in questi luoghi si cerca fortuna in mercati minori – ancor meglio se sconosciuti – con un'offerta che, pur ricalcando quella principale, pone sui nuovi mercati prodotti “di serie b” o – come in questo caso – prodotti di scarto.
«Inizi con una dose» - dice Francisco, 19 anni - «l'effetto è fortissimo ma dura pochi secondi. Allora ne vuoi subito un'altra, e poi un'altra ancora e così via. Non esistono vie di mezzo: dal primo giorno diventi un “adicto”, un dipendente». Francisco è uno di quelli che ce l'ha fatta. Dopo mesi di cura a Casa Flores (il primo centro di recupero per dipendenti del Paco) le mani non tremano più e sono scomparse anche le bruciature sulle labbra - dovute al fatto che l'unico modo per assumere questa sostanza è fumarla attraverso delle pipe, spesso ricavate dagli strumenti più disparati quali tubi di metallo ed antenne tv – sono ormai un lontano ricordo.
«Gli spacciatori» - spiega Cesar Fonseca, assistente sociale - «hanno iniziato regalando bustine di un grammo di pasta base per ogni grammo di coca venduta. Una volta creata la domanda hanno fissato un prezzo, di otto o dieci volte inferiore a quello della polvere bianca, conquistando così migliaia di clienti. Costa meno ma si vende più facilmente e la dipendenza è assicurata». La rete dello spaccio si basa sulla figura del “soldato”, cioè il consumatore-spacciatore che per comprare le dosi di cui ha bisogno, si pone come intermediario tra domanda e offerta, diventando così anche il principale obiettivo delle forze dell'ordine.
«L'età in cui si inizia a fare uso di droga ogni anno diminuisce» - spiega Isabel Vázquez, fondatrice insieme ad Alicia Romero del movimento “Madres contra el Paco” (qui il sito: http://www.madrescontraelpaco.org.ar/) - «nel 2000 l'età media si aggirava intorno ai 24 anni, oggi intorno ai 16, anche se non è difficile incontrare ragazzi che fanno uso di questa sostanza già ad 11 anni». La maggior parte degli “adictos” non sa né leggere né scrivere e si trova a fare i conti con un tessuto sociale in cui gli effetti della crisi socio-economica (nella quale ruolo fondamentale ha giocato il volere del Fondo Monetario Internazionale) sono ancora devastanti, basti pensare al divario economico tra ricchi e poveri che, nella sola Buenos Aires, permette al 10% della popolazione più ricca di avere un reddito trentacinque volte superiore al 10% della popolazione più povera.
Gli effetti sul fisico di chi fa uso di questa sostanza sono ancor più devastanti di quanto non possa fare la cocaina pura. Agli effetti di quest'ultima, infatti, bisogna aggiungere quelli dell'acido solforico (enfisemi e cancro polmonare), del monossido di carbonio che si sostituisce all'ossigeno nei globuli rossi e del cherosene, che funge da inibitore nella trasmissione degli impulsi nervosi ai neuroni. È dunque ancor più effimera l'utilità del paco, che non solo necessita di un continuo “ricarico” - visto il brevissimo tempo in cui esaurisce i propri effetti – e dunque di una spesa notevole, ma molto spesso i paco-dipendenti perdono la vita nel giro di un paio d'anni, per gli effetti diretti e per quelli – indiretti – che ha sulla sfera sociale, in cui il ruolo dei media è, come sempre, decisivo.
Ma in Argentina esiste un movimento sociale che è più forte delle crisi socio-economiche e delle dittature: le “Madres”. Conosciamo ormai da trent'anni quelle di Plaza de Mayo che, munite dell'ormai famoso “panuelo blanco” tutti i giovedì sera si riuniscono nell'omonima piazza per chiedere la ricomparsa di quei figli che la dittatura degli anni '70 gli ha portato via. Da qualche anno accanto a loro si possono vedere altre “madri-coraggio”: madri come Isabel e Alicia, che con la loro associazione cercano di combattere il narcotraffico con le uniche armi non-violente che l'umanità abbia mai conosciuto: l'istruzione e l'aiuto reale a ragazze e ragazzi in difficoltà, quello stesso aiuto che non viene da chi ne sarebbe garante per definizione, come quelle forze dell'ordine i cui rappresentanti sono spesso i primi ad essere inseriti nel mercato della droga dal lato dell'offerta.
«Mio figlio Emanuel consumava di tutto, arrivando a rubare per finanziarsi le dosi» - dice Isabel, che ha deciso di mobilitarsi in prima persona proprio a seguito della morte di Emanuel - «Una volta entrati nei centri di recupero facciamo un lavoro specifico con ogni “adicto” in funzione del suo profilo. La relazione con gli altri compagni e la partecipazione delle famiglie sono decisive».
Il problema del “basuco”, così come il problema dei bambini che per le strade del Brasile sniffano colla perché non hanno il denaro necessario a pagarsi una dose di droga “vera” non è un problema dettato da cause individuali, ma è il risultato – studiato e messo in pratica – di un processo strutturale che porta sempre di più ad allargare la forbice economica e sopratutto sociale tra chi ha e chi non ha, tra chi è “centro” e chi è “periferia”. Lo dice in maniera magistrale una tra le più importanti “penne” dell'America Latina qual è quella di Eduardo Galeano: «Si demonizza il tossicodipendente, soprattutto il tossicodipendente povero, così come si demonizza il povero che ruba, per assolvere la società che li genera».
Sarebbe interessante chiedere ai nostri politici, quelli che adesso si stanno adoperando per la distruzione – lenta ma continua – dell'istruzione tra quanto inizieranno a gridare al nuovo “problema sociale” della “droga da discount” (il “paco” circola già per le strade di Barcellona, per cui è solo questione di tempo il suo arrivo anche in Italia). È per questo che la battaglia sull'istruzione, nel nostro paese come nel resto del mondo, non deve essere dimenticata né a livello sociale né mediatico, perché nessun venditore di morte lo si trova lì, tra libri e matite.