Mentre Maroni & Co si preoccupavano dell’invasione africana ne avevano già subita un’altra e nemmeno se ne sono accorti. Oggi la Direzione nazionale Antimafia diffonde una relazione secondo la quale non si parla di “infiltrazione” della ‘ndrangheta in Lombardia, ma di “colonizzazione”.
Insomma mentre i gruppi dirigenti leghisti, parte del “governo che ha fatto di più contro la criminalità organizzata negli ultimi 150 anni”, se ne stavano a Roma a tentare di portare a casa la bandierina del federalismo ad ogni costo, anche a quello di giustificare ogni magagna del Presidente del Consiglio, mentre guardavano nel vuoto intervistati su avvenimenti africani di cui non avevano la minima conoscenza, hanno lasciato su quel territorio, nel quale si dice siano radicati così bene, una selva di amministratori così ingenui, cialtroni, grezzi e impreparati che in pochi anni sono stati colonizzati non dai romeni, non dagli zingari, non dagli extracomunitari, ma dalla ‘ndrangheta.
«In Lombardia», scrivono gli esperti della DIA «la 'ndrangheta si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di "colonizzazione", cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso. La 'ndrangheta ha «messo radici», divenendo col tempo un'associazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla «casa madre», «con la quale però comunque continua ad intrattenere rapporti molto stretti e dalla quale dipende per le più rilevanti scelte strategiche».
Mi ricordo i manifesti della Lega che ricordavano gli autoctoni americani vittime dell’immigrazione europea (sic) finiti a vivere nelle riserve e mi si stampa sul volto un sorriso amaro, anche perché immagino che i leghisti e i padani, imprenditori e politici, non andranno a vivere nelle riserve di fronte alla colonizzazione della criminalità organizzata denunciata dalla DIA, ma riusciranno a conviverci e a farci affari pacificamente.