Da Wikipedia , mappa Sardegna
PADRE
Luigi da ragazzo viveva in Sardegna, la sua terra d’origine. Quando la mente naviga nei ricordi, spesso questi si fermano a certi momenti della sua vita.
Più piccolo di statura dei suoi coetanei, ma con gli occhi vispi delle persone acute ed intelligenti, Luigi viveva in una zona interna molto povera dove pastorizia, agricoltura risultavano essere le sole risorse per i pochi residenti.
La scuola era un obbligo, sottraeva alle famiglie le braccia disponibili, non era ben vista dalla sua famiglia. I suoi peraltro erano analfabeti e nella loro idea non serviva a nulla studiare.
Luigi a scuola ci andava, ma non studiava. Lo punivano spesso; in particolare la maestra in occasione della mensa scolastica non lo faceva mangiare quando non aveva fatto i compiti.
Quando il padre gli chiedeva se aveva mangiato, lui rispondeva di sì.
Aveva paura più del padre che della maestra.
Le punizioni del padre erano molto più severe della maestra.
Si trattava di punizioni corporali. Il padre usava il nerbo di bue per colpirlo.
I colpi diretti alle gambette scoperte dai calzoncini corti fischiavano nell’aria fino a lasciare larghe e profonde righe di sangue sulla pelle.
Per scaldare la casa occorreva la legna. Dopo la scuola Luigi non faceva i compiti come gli altri ragazzi, il padre lo aspettava per condurlo alla montagna.
C’era da camminare almeno due ore in salita.
Il ritorno però era molto più duro della salita.
Il padre caricava il bambino di otto anni con un pesante ceppo sulle spalle.
Luigi non poteva fermarsi a riposare buttandolo per terra. Non ce l’avrebbe fatta da solo a rimetterlo sulle spalle, il padre non l’avrebbe aiutato, anzi ci sarebbe stata la solita punizione !
Luigi aveva la soluzione per riposarsi e non gettare il pesante fardello a terra.
Si soffermava vicino ad un muretto a secco, ci si appoggiava con il tronco sempre sulle spalle e quando se la sentiva, ripartiva. Doveva trovare solo un punto giusto con il muro alla sua altezza e dopo alcune fermate per piccole pause riusciva a portare a casa il grosso ramo di legno per scaldare la casa.
Luigi, quinto di sei figli, diventato adulto, ha appreso dai libri di storia i motivi della sua vita grama.
In passato lo hanno raccontato anche storie come quella di Gavino Ledda (Padre padrone), volte a rappresentare la società sarda. La ricerca di un perché non vuol essere tentativo di giustificare.
Ognuno di noi ha uno scopo nella vita.
Nella società sarda di un secolo fa gli scopi dei figli erano definiti dal padre.
Il sostentamento della famiglia veniva prima della vita dei componenti stessi.
Nessuno doveva tirarsi indietro.
Il capofamiglia aveva veramente tanto potere, basti pensare che nel medioevo si estendeva anche alla vita o morte dei familiari. Guai a ribellarsi.
Il capofamiglia non aveva però potere sulla malattia.
Questa nefasta calamità si abbatté sulla famiglia di Luigi. Due fratelli morirono di malattia, anche lui si ammalò gravemente.
Venne il medico; dopo la visita con una scrollata di spalle rimise lo stetoscopio in borsa dicendo :
– questo ragazzo morirà presto, posso provare a fargli una puntura. Se ce la farà a riprendersi non si ammalerà più –
Le condizioni di Luigi divennero disperate, avevano già chiamato anche il prete per l’estrema unzione.
Era quasi tutto pronto.
Per quanto si voglia preparare ogni cosa, ogni particolare, spesso tutto risulta vano.
Un detto toscano recita :
– finché non ti arriva la cartolina, non si parte ! –
Il riferimento non è alla morte, ma al servizio militare.
In effetti fino al 2005 prima della chiamata al servizio di leva arrivava una cartolina con richiesta al giovane di presentarsi al distretto militare per effettuare il servizio di leva.
L’allusione è comunque molto esplicita, a Luigi non era arrivata la cartolina e non poteva “partire” !
Passò giorni a letto con febbri altissime. Il corpicino lentamente si risvegliò da quella pre-morte fino a riprendersi completamente.
La madre volle celebrare l’evento in uno strano modo, e dal momento che Luigi era stato considerato una specie di miracolato a causa di una intercessione dal cielo.
La famiglia doveva ringraziare il divino per il dono di avere ancora Luigi tra loro.
Luigi non ricorda di chi fosse stata l’idea, ma ricorda i cinque anni successivi.
Gli fu cucito un saio da frate addosso e Luigi divenne un ex-voto vivente, il pesante tessuto divenne la sua seconda pelle per cinque lunghi anni.
Mentre lo racconta un sorriso gli scopre una fila di denti. Ora ci si può ridere su, ma a quei tempi non deve essere stato uno scherzo.
Luigi cominciò a lavorare come manovale nell’azienda edile del padre.
A dodici anni era un ragazzo con la forza di un uomo.
Si arrampicava sulla scala a pioli portando sulle spalle fino a ventidue tegole sulle spalle, arrivando fino al tetto. Magari erano più pesanti del ceppo di legno, ma anche lui era cresciuto.
Non c’erano errori nelle sue attività manuali, si ricordava sempre del nerbo.
Luigi frena le emozioni nel racconto. Un momento di silenzio come per interrogarsi su un perché, uno dei tanti.
Perché non riusciva ad odiare il suo padre-padrone ?
La risposta è stata data più volte da psicologi e psicoterapeuti.
E’ noto che nel rapporto violentato-violentatore si instaura un circolo vizioso, ognuno ha bisogno dell’altro, anche solo per ….esistere.
Luigi ammette :
– Si, volevo bene a mio padre, nonostante tutto –
Ci sono storie che non scriviamo noi, ce le scrivono gli altri.
Ringrazio Luigi che me l’ha raccontata.
Sono contento di poterla condividere e spero risulti essere di interesse per conoscere meglio cosa accadeva nel nostro paese quasi un secolo fa.
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