Ecco, comincia così, con il passo del grande classico, senza la presunzione di volerlo essere a tutti i costi. Comincia con un colpo d'occhio che guarda lontano e annuncia la saga famigliare. Comincia con la sicurezza del narratore che sa dominare lo spazio e il tempo e le vicende che nello spazio e nel tempo si distendono.
E parola su parola, pagina dietro pagina, ecco La famiglia Karnowski di Israel Joshua Singer, romanzo che mi lascia dietro una bella scia di interrogativi - come devono fare tutti i grandi romanzi - ma uno su tutti: come è possibile che questo libro, uscito nel 1943, sia rimasto in un cono d'ombra per così tanto tempo?
Il tempo, che non sempre è spietato, sta finalmente risarcendo chi ha avuto il solo torto di essere il fratello di uno straordinario scrittore, universalmente conosciuto. Buon per l'Adelphi, la casa editrice che ce lo ha riproposto, e buon per tutti noi.
E allora, se non l'avete ancora fatto, leggete la Famiglia Moskat di Isaac Singer e poi passate alla Famiglia Karnowski di Israel Joshua (o viceversa). Le stesse radici, più o meno anche lo stesso arco temporale, ma anche due pezzi diversi dello stesso mosaico. Nel primo caso il mondo ebraico dell'Europa Orientale cancellato dalla Shoah. Nel secondo, quel mondo che si mette in cammino verso l'occidente, che si fa altro, che almeno in parte trova scampo.
La saga dei Karnowski comincia con Daniel, che lascia il suo villaggio nell'Est e sceglie Berlino: Si era sentito attratto - scrive Israel Joshua - dal paese al di là della frontiera, da cui veniva tutto ciò ciò che era buono, illuminato, razionale. E figurarsi, chi avrebbe mai potuto pensare che proprio da quel paese sarebbero piombate un giorno la morte e la devastazione?
Ci sarà anche chi da Berlino riuscirà ad arrivare in America. E l'America sarà allo stesso madre e matrigna, terra di accoglienza e di straniamento. Ma con tutto questo la Famiglia Karnowski non è, non è solo, un romanzo sull'esilio e la persecuzione dei giovani con gli stivali (mai una volta ai nazisti si concede di essere chiamati tali).
Per esempio, è un anche un libro, anzi un capolavoro, sul tempo che passa e sulle generazioni che si succedono, con i propri diritti e i propri torti. Sulle scelte che separano. Sui figli che voltano la schiena ai padri e sui padri che non riconoscono più i figli. E sulle radici che, prima o poi, si lasciano ritrovare. Sugli affetti che non muoiono una volta per tutte.
Sulle persone che gli anni e le circostanze ci fanno riscoprire uguali dopo che testardamente ci eravamo pretesi diversi.
Bello, coinvolgente, commovente.