La rappresentazione del paesaggio non è un dato estraneo all'arte antica, ma ne abbiamo un campione ridotto a causa della deperibilità delle opere classiche: realizzate su pìnakes (tavole) di legno dai Greci, le pitture erano soggette ad un rapidissimo deterioramento. Alcuni soggetti di particolare fortuna, però, hanno goduto di trasposizioni più durevoli grazie alla loro riproduzione attraverso mosaici e affreschi. La pratica della copia (e questo vale anche per le sculture) era particolarmente in voga fra i Romani, fortemente inclini all'ellenizzazione culturale, e proprio per merito di questa tendenza oggi conosciamo i temi e le forme di dipinti greci perduti. Come per i moderni, il paesaggio poteva essere un accessorio, un particolare di sfondo oppure un elemento totalizzante, che troneggiava nella raffigurazione.
Un esempio di questa particolare modalità di conservazione delle opere greche è costituito dal Mosaico di Alessandro della Casa del Fauno di Pompei (I sec. a.C.), oggi esposto al Museo archeologico nazionale di Napol; il soggetto, lo schema, le figure e i colori sono probabilmente ispirati al dipinto di Filosseno di Eretria (IV-III sec. a.C.), raffigurante forse la battaglia di Isso (333). Sebbene si tratti di un mosaico/dipinto di soggetto bellico, in cui regnano protagoniste le cariche dei Persiani e di Alessandro Magno (nella parte purtroppo perduta), si può intravedere, alle spalle del condottiero macedone, un albero spoglio, segno probabile di un interesse anche solo marginale all'inserimento del paesaggio.
Le domus pompeiane sono una straordinaria risorsa per valutare lo stato delle conoscenze artistiche e la diffusione dei diversi soggetti e di dare alle diverse testimonianze delle datazioni abbastanza precise, avendo come riferimenti sia gli interventi architettonici e urbanistici, sia il termine limite del 79 d.C., anno in cui la città fu sepolta dall'eruzione del Vesuvio. A Pompei, infatti, sono stati trovati numerosi esemplari di affreschi che rendono conto del gusto artistico delle classi medio-alte ellenizzate del mondo romano.
Fra i dipinti di paesaggio, spiccano gli affreschi dedicati alle avventure di Ulisse, databili nell'ultimo secolo di vita della città. In questi esemplari i protagonisti del mito sono spesso raffigurati a dimensione molto piccola e calati in un paesaggio dominato dal mare, da rupi e scogliere, grotte e macchie boschive.
Un altro bellissimo esemplare di arte paesaggistica, anteriore ai due citati, è il mosaico di Palestrina (II sec. a.C.), in cui è raffigurato con dovizia di particolari un ambiente nilotico, con la diversificazione dei diversi ambienti: le montagne dell'Etiopia fra cui si muovono i cacciatori (nella parte alta), i templi e gli edifici cittadini (nel mezzo), le imbarcazioni e i giardini dei nobili (in basso). Il tema del mosaico è anch'esso ellenistico ed ellenistica è stata probabilmente la maestranza che lo ha realizzato: l'amore per il particolare, il preziosismo, la varietà di figure, ambienti e colori è una caratteristica dell'arte del III-II sec. a.C.
Gli esemplari di pittura paesaggistica che più mi affascinano, però, sono quelli della villa di Livia, moglie di Augusto, a Prima Porta (nei pressi di Roma), oggi conservati nella sede di Palazzo Massimo del Museo nazionale romano e datati al I sec. Gli affreschi, montati nel museo secondo la disposizione originaria, occupano le quattro pareti di una sala che sembra affacciarsi su un variopinto giardino pieno di fiori, foglie, bacche e uccelli. L'allegria e i profumi della natura invadono lo spettatore, annullando la distanza di duemila anni che si frappone fra il pennello e lo sguardo.
I paesaggi antichi mancano, ovviamente, della prospettiva, ma ne presentano le basi, perché l'articolazione dello spazio, la sovrapposizione di piani, la collocazione di alcuni elementi dietro ad altri, come accade per l'albero nel Mosaico di Alessandro, per le rupi sullo sfondo delle avventure di Ulisse o per il muricciolo che separa l'aiuola del giardino dell'imperatrice romana dalla vegetazione lussureggiante, sono tutti segni della ricerca di profondità e tridimensionalità. Questi paesaggi lontani, insomma, sono la premessa dimenticata delle invenzioni dell'estro e del genio moderni, delle grandi vedute del Settecento, ma anche, considerando la tecnica di pittura compendiaria (cioè a macchie ravvicinate di colori diversi), di alcune delle più belle rappresentazioni impressionistiche che potremo ammirare nella mostra veneta.
C.M.