Quei canti per me sono state ninne nanne cantate davanti al fuoco da mia nonna, per molto tempo sono stati i canti del focolare. Con il tempo ho capito l'immensa importanza di quei canti, creazione e sublimazione di una condizione umana dove non c'era tempo neanche per la depressione, altri bisogni incombevano e allora si cantava. Si cantava nei campi sotto un sole feroce, "c'è nu sule ca spacca e petre", si cantava mentre si infilavano foglie di tabacco, si cantava durante la mietitura del grano, si cantava durante la vendemmia e la raccolta delle olive, si cantava la sera a prendere il fresco, si cantava in attesa del morso di un ragno.
Oggi non cantiamo più, oggi abbiamo tutto il tempo per la depressione.
Qui non vorrei vivere dove vivere
mi tocca, mio paese,
così sgradito da doverti amare;
lento piano dove la luce pare
di carne cruda
e il nespolo va e viene fra noi e l'inverno.
Pigro
come una mezzaluna nel sole di maggio,
la tazza di caffè, le parole perdute,
vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:
divento ulivo e ruota d'un lento carro,
siepe di fichi d'India, terra amara
dove cresce il tabacco.
Ma tu, mortale e torbida, così mia,
così sola,
dici che non è vero, che non è tutto.
Triste invidia di vivere,
in tutta questa pianura
non c'è un ramo su cui tu voglia posarti.
Vittorio Bodini. Da La luna dei Borboni, 1950-1951