Se quella ‘m’ che termina con una punta stilografica si è guadagnata la fiducia di molti lettori è perché le scelte dei redattori e direttori di collana sono volte all’individuazione di un percorso, al tentativo di definizione di un orizzonte culturale: è così, senza dubbio, per la selezione della narrativa statunitense, operazione di indubbio merito e che fa di Martina Testa la nuova Fernanda Pivano, è così per l’individuazione dei classici del futuro (ci riflettevo qui). Occorre quindi analizzare le scelte operate nella narrativa italiana, più difficile da selezionare perché vi siamo immersi, perché tracciare un sentiero è impegnativo e alto si presenta il rischio di non riuscire a tastare il polso del golem della prosa nostrana, fatto di pezzi eterogenei e non tutti necessari.
Paesaggio con incendio è un testo breve – racconto lungo o romanzo snello (in copertina si propende per questa etichetta) – ma il cui sviluppo è uniforme, le cui parti ‘si tengono’ fra loro. Tre momenti, corrispondenti a presentazione di luogo e personaggi, sviluppo e spiegazione, climax. Un epilogo: la vicenda è riassorbita, i protagonisti si allontanano dal setting narrativo, l’accaduto li ha cambiati o ha consentito loro di fare chiarezza.
Con posa da critico consumato direi che il paesino appenninico, Castagneto, è il vero protagonista della vicenda, e che il libro è un’indagine delle dinamiche della popolazione di provincia (un microcosmo?). Dunque questo sarebbe il valore rappresentativo del testo: ogni atto narrativo deve dare conto di un pezzo di realtà del contesto in cui nasce. La provincia italiana, in effetti, qui rappresentata nello specifico di Castagneto, è ben delineata: universo asfittico e autarchico, quindi viziato dalla mancanza di ricambio di idee, intento alla ripetizione ossessiva di schemi di comportamento collaudati e improntati all’autoconservazione. Il paese cambia, è vero: ne individua belletti recenti il protagonista Vittorio, emigrato ma puntuale nel ritorno vacanziero annuale, due settimane agostane in cui vorrebbe ritrovare tutto com’è eppure si rende conto dei miasmi dell’immobilismo cadaverico di una popolazione che al ricambio generazionale non fa che reiterare gli schemi di padri e nonni.
Il ‘paesaggio’ è dipinto da Carla, moglie di Vittorio e personaggio teso alla vita e al futuro (rinnovare la maternità le sembra necessario), ma ‘con incendio’, come se «mentre si spegnevano a una a una le scintille sparse ovunque, la natura potesse riprendere il suo corso normale verso la pioggia, le nebbie d’autunno, la neve». Se nell’intraprendere il ritratto del paese Carla aveva voluto inserire il giallo autunnale, indice di sviluppo futuro, di continua evoluzione della natura e della vita, nel risultato finale opta per un fuoco catartico, per il suggerimento a Vittorio (specularmente ossessionato dalla morte) che si può cancellare e continuare.
Eppure Vittorio, nel suo pessimismo rassegnato, nel rifiuto di ulteriori responsabilità, è più simpatico della fiduciosa Carla, e il finale consolatorio a cui Aloia non rinuncia nell’epilogo (a bilanciare e, anzi, comprendere e superare quello tragico della terza parte) non sembra aderire alla realtà. È un suggerimento, non una fotografia dell’esistente. Stride. L’incendio nel momento distruttivo sarebbe, in effetti, la vera rappresentazione del mondo attuale. Il fuoco catartico, l’attesa della pioggia sono ancora di là da venire.
Carlotta Susca
E. Aloia, Paesaggio con incendio, minimum fax, 149 pp., 13 euro.