Promossi (pochi) e bocciati (molti) di un'edizione tutto sommato deludente. A testimonianza di una selezione debolissima, è significativo il fatto che quasi tutte le cose migliori viste a Venezia 70 fossero fuori concorso. Breve riassunto semiserio di dieci giorni di Mostra del Cinema.
Un cortometraggio di venti minuti che ti strappa il cuore. Le immagini tremende dell'ultimo comizio, a Padova nel 1984: Berlinguer sofferente, livido, che si ostina a parlare mentre i militanti cercano di farlo smettere. Poi solo la folla, e quella voce che, come diceva DeGregori, arriva fino all'ultima fila di platee immense fatte di persone semplici e appassionate. Emozioni fortissime, nel ricordo della bella politica. Quella vera.
Tutto in una notte. Anzi, tutto in 84 minuti cronometrati nell'abitacolo di una macchina. Un uomo normale vede svanire ogni certezza correndo lungo l'autostrada... lo fa per rimettere a posto la propria coscienza, ad ogni costo. Il film più sorprendente della manifestazione, un autentico miracolo di sceneggiatura, dolente e affascinante, costato nulla. Tom Hardy è superlativo. Una sola domanda: perchè non era in concorso?
Questo film lo difendiamo a spada tratta, contro tutto e contro tutti, in particolar modo contro chi non ha capito il registro e il messaggio adottati da Amelio: una fiaba moderna, una parabola laica delicata e struggente, l'ennesimo film 'sulla crisi' che però invita a non piangersi addosso, a camminare a schiena dritta, a saper vedere la voce in fondo al tunnel. Albanese è perfetto nel ruolo, timido e dimesso, senza scadere nella caricatura.
Il Leone d'oro nessuno se l'aspettava, ma non è uno scandalo: in fin dei conti nella classifica della stampa internazionale pubblicata da Ciak Daily il film di Rosi figurava al secondo posto. Ma questo film 'ibrido', a metà strada tra documentario e fiction (i protagonisti recitano 'interpretando' loro stessi) centra l'obiettivo: quello di dare la parola a chi normalmente non ce l'ha, a quei personaggi 'invisibili' che rendono più umana e genuina una Roma non prigioniera della sua grande bellezza.
Secondo tutti, doveva vincere. Ma Bertolucci ci aveva avvertito fin dalla vigilia: "Voglio film che sappiano stupirmi", e certo Philomena tutto è tranne che un film originale. Però è bello: intelligente, ironico, inevitabilmente british, recitato da Dio. Judi Dench giganteggia, ma la Coppa Volpi è andata a Elena Cotta. Ma lei, di sicuro in corsa per il secondo Oscar, se ne sarà fatta una ragione.
Un lutto da elaborare, due persone che cercano a modo loro di colmare i rispettivi vuoti. Thriller psicologico intensissimo, duro, forse un po' troppo stiloso, ma di indubbio fascino e tensione. Xavier Dolan, il più giovane regista della storia del concorso veneziano (appena ventiquattrenne, con già quattro film diretti ) ha talento da vendere. Scontato predirgli un futuro da protagonista.
Una bella, sorprendente storia di umanità e dolore girata dal produttore di Full Monty. Un timido impiegato comunale si occupa di ricercare i parenti di persone morte in solitudine per dar loro una degna sepoltura. Persone dimenticate, ognuna con qualcosa da raccontare e meritevoli di dignità. Il finale, bellissimo e struggente, ha commosso la platea.
In ogni festival c'è la cazzata che si rispetti... e infatti eccola qua: un film talmente irritante e fastidioso che ti dà fastidio alla pelle (perdonatemi lo scontato gioco di parole). Serve un buon dermatologo. Pretenziosità allo stato puro, condita oltretutto da una noia mortale. Barbera ha pure detto di aver ricevuto plausi per averlo messo in concorso. Mah. Scarlett, perchè l'hai fatto??
A vederlo non ci si crede: Paul Schrader è il regista di American Gigolo, oltre che sceneggiatore di Taxi Driver e Toro Scatenato. E scusate se è poco... pare impossibile che si sia abbassato a dirigere una roba come questa, talmente sciatta e sconclusionata da far quasi rivalutare la vera pornografia. Il sospetto è che si tratti di una gigantesca trovata pubblicitaria. In ogni caso non è una giustificazione.
Al confronto un romanzo Harmony è più coinvolgente! Che cosa abbia spinto un autore raffinato come Leconte a dirigere questo pastrocchio sentimental-melodrammatico, ambientato in Germania e girato in inglese (!) non è dato saperlo. Al Lido i giovani si strappavano i capelli per Richard Madden e Rebecca Hall, e ci può stare. Cosa ci faccia invece Alan Rickman in un film del genere è un mistero.
James Franco è diventato il nuovo 'guru' di Hollywood: attore, interprete, scrittore, persino spettatore in incognito al Lido (c'è chi giura di averlo visto mescolato col pubblico al Palabiennale). Forse un po' troppo, a cominciare da questa prima prova registica, tratta dall'ennesimo romanzo di Cormac McCarthy. Partenza in salita e subito macchina in folle. Il ragazzo se la tira... un po' troppo per i miei gusti.
Una brutta copia di Into the Wild, noiosissima e inconsistente. Peccato perchè le premesse c'erano tutte, a partire dalla brava protagonista, Mia Wasikowska, che si prodiga non poco. Ma il film è una patinata ricostruzione di un viaggio 'estremo' nel deserto australiano, svuotato di ogni epicità e ridotto a un polpettone di livello televisivo.
Va bene: film fvancese che più fvancese non si può... con tutti gli stereotipi del cinema fvancese: ovviamente in bianco e nero, attori bellocci, giochi di sguardi, sigaretta in bocca, e allora??? Viene il sospetto che Barbera l'abbia messo in concorso solo perchè si vede la cartina di Venezia appesa alla parete. Lasciate perdere.
Lo so. Infamatemi pure. Per qualcuno è Leone d'oro morale, per altri perfino troppo bello per stare in concorso. Tsai Ming Liang: elogio dell'estetica, riscoperta della 'lentezza' come valore, eccetera eccetera... io l'ho vissuto come una punizione: 138 minuti senza trama (una famiglia che cerca di sbarcare il lunario), con inquadrature fisse che durano quarti d'ora (sul serio) e riprese soggettive di persone che espletano i loro bisogni corporali. Quando è troppo è troppo, meritava la Coppa Valium...