di Andrea M. Campo
(Mariolino) “Papà cos’ è la carta d’identità?”
(Papà sorridendo) “È un documento dove scrivere chi siamo”
(Mariolino) “Quindi se perdo la carta d’identità non sono più nessuno?”
(Papà ridendo) “No, Mariolino. Anche senza la carta d’identità sarai sempre Mariolino, ma con la carta d’identità potranno saperlo anche gli altri”
(Mariolino) “Allora perché devo portarla in tasca io! Sono gli altri che hanno bisogno della mia carta d’identità per sapere chi sono”
(Papà ridendo ancora) “No, perché se la porti con te, puoi sempre dimostrare chi sei”
(Mariolino) “E perché gli altri dovrebbero essere interessati se sono realmente quello sulla carta d’identità oppure no! Io so che sono Mariolino, ma se dico agli altri di non essere Mariolino, gli altri non possono scoprire che mento perché la mia carta d’identità è nella mia tasca!”
(Papà serio e accondiscendente) “Se tu dirai la verità, loro sapranno chi sei realmente! E tu sei Mariolino! Non vuoi che loro sappiano chi sei?”
(Mariolino) “Ma papà se dico che mi chiamo Francesco e loro mi chiamano sempre Francesco, non sapranno mai che in realtà sono un altro, ma non importa, tanto per loro sarei sempre Francesco, quello che conoscono, e Mariolino è un’altra persona, che non conoscono!”
(Papà serio) “E tu saresti felice sapendo che gli altri pensano che tu sei un altro e non Mariolino?
La carta d’identità ti servirà quando qualcuno non crede che tu sia Mariolino!”
(Mariolino) “Ho capito!… ma come hai fatto tu a scoprire che io sono Mariolino? Ti hanno dato la mia carta d’identità? E chi l’aveva prima di te? E a lui chi l’ha data?”
(Papà stanco) “Io e la mamma quando tu eri piccolo abbiamo deciso che fossi Mariolino e poi lo abbiamo fatto scrivere sulla carta d’identità…”
(Mariolino) “Allora io non sono Mariolino! Tu non sai chi sono! Sei come quelli che mi chiamano Francesco, però tu mi chiami Mariolino!”
(Papà nervoso) “Ma no, Mariolino. I genitori danno il nome ai figli: io l’ho fatto per te, i nonni lo hanno fatto per me, i genitori dei nonni lo hanno fatto per loro, e così via. E lo stesso vale per la mamma!”
(Mariolino) “Allora la carta d’identità dovrebbero tenerla i genitori per i figli!”
(Papà nervoso e stanco) “Ho detto di no! Lo decidono i genitori ma lo fanno per i figli”
(Mariolino) “Cioè i genitori decidono che i figli sono delle persone che non sono in realtà e lo fanno per loro…?”
(Papà molto nervoso molto molto stanco) “Tu sei Mariolino, punto e basta! Va così per tutti! I genitori scelgono per i figli e nessuno mai si è lamentato!”
(Mariolino) “Ma papà, io voglio sapere chi sono, non voglio che lo dica tu, e non mi importa se tutti gli altri fanno così! Io voglio sapere se sono Mariolino, o Francesco o Giovanni…”.
Lo schiaffo…
Il libero pensatore e la sua curiosità a volte devono cedere davanti l’autorità: la curiosità di Mariolino si interruppe su una mano aperta e callosa, privata del dovuto ruolo di ultima risorsa del precettore illuminato.
Le lacrime scesero lungo il viso del bimbo per tutta la notte, e per tutta la notte il padre rimase a guardare la mano colpevole. Ovunque la girasse pareva non essere sua. Non sembrava la stessa mano che quarant’anni prima, stringendosi in un pugno, aveva contestato un’autorità priva di coscienza che soffocava la sua emancipazione. La stessa autorità che cieca si opponeva alla sua libertà d’identità, quando l’identità cominciava a perdersi tra le maglie dell’umano bisogno di appartenenza e di omologazione.
La stessa autorità di cui, adesso, con quel gesto, era diventato parte.