In Pakistan è in atto un conflito che sembra senza fine. L’ultimo attacco rivendicato da parte dei talebani del movimento Tehrek-e-Taleban Pakistan (TTP) risale a ieri, giovedì 22 agosto. Secondo l’emittente televisiva Express News, un kamikaze a bordo di una motocicletta si è fatto esplodere a Karachi (Pakistan meridionale) vicino al quartier generale del corpo paramilitare dei Rangers, causando un morto e 15 feriti fra cui dieci membri della sicurezza.
Soltanto negli ultimi due mesi si sono registrati settanta attentati, tra cui un attacco presso una sede regionale della Inter-Services Intelligence Direzione (ISI), la principale agenzia di servizi segreti del Pakistan. La percezione è che l’aumento delle azioni terroristiche sia stato negli ultimi tempi trascurato dal presidente Nawaz Sharif, che dall’inizio del suo mandato ha preferito concentrarsi sulle sfide economiche in cui versa il paese; in particolare sulla crisi energetica, causa di continui black out nelle città pakistane.
Lunedì scorso, durante il suo primo discorso televisivo dalla vittoria nelle elezioni legislative dell’11 maggio 2013, Sharif ha parlato della disponibilità del governo di tenere colloqui con i militanti talebani, senza però escludere la possibilità di condurre azioni militare contro di loro qualora la circostanza lo richiedesse. Sharif avrebbe quindi lasciato intendere che esiste più di una possibilità per trattare con i terroristi, rimarcando in ogni caso che le priorità del Paese rimangono la lotta all’illegalità e al degrado istituzionale, come pure l’obiettivo di stabilizzare l’economia attraverso l’aumento di trading e di legami energetici con la Cina, che ha definito un “game-changer“.
Secondo molti analisti, il tema della sicurezza nazionale sarebbe ancora molto confuso nell’agenda del governo guidato dallo schieramento della Lega Musulmana-N. Per quanto sia apprezzabile la volontà di Sharif di rivedere radicalmente la politica estera del paese con il nobile progetto di rendere il Pakistan una forza per la pace regionale, il suo governo risulta attualmente carente di meccanismi che siano in grado di concepire ed attuare una vera e propria strategia per la stabilità interna. Detto ciò, non va dimenticato che i talebani hanno ritirato una precedente richiesta di apertura per colloqui di pace dopo che in maggio il vice comandante del movimento è stato ucciso durante un attacco di un drone statunitense.
In ogni caso, sembrerebbe che un alto comandante dei taliban abbia accolto con favore l’offerta del governo di tenere colloqui di pace. Asmatullah Muawiya, leader della fazione dei combattenti della provincia di Punja, avrebbe dichiarato in un comunicato emesso giovedì che il Primo Ministro Nawaz Sharif ha dimostrato una notevole maturità politica con la sua proposta di trattare per la sicurezza del Paese, affermando che se il governo fosse davvero intenzionato ad impegnarsi nella risoluzione del conflitto troverebbe soltanto risposte positive da parte dei talebani.
Naturalmente non è così scontato che il resto della leadership del Pakistan Talebani approvi la posizione di Muawiya. Va in ogni caso ricordato che le precedenti dichiarazioni fatte dal comandante hanno sempre trovato pieno sostegno tra i militanti. A questo punto il governo del Pakistan non può permettersi di non considerare l’opzione della mediazione con i gruppi di talebani del paese. Si tratta di un tassello inevitabile non soltanto per la sicurezza nazionale, ma anche per la stabilità dell’intera regione. Il ruolo di forza di pace per l’Asia meridionale passa necessariamente attraverso l’equlibrio interno della Nazione.