Palermo: dopo 30 anni si riapre il processo per l’uccisione di Sebastiano Bosio

Creato il 21 novembre 2011 da Yellowflate @yellowflate

Corte d’Assise di Palermo, trentanni dopo si discute di  Sebastiano Bosio, il primario della Chirurgia vascolare dell’ospedale Civico di Palermo, assassinato il 6 novembre 1981, si sentono le figlie. Unico imputato è il boss del quartiere Resuttana, Antonino Madonia, rinviato a giudizio dal gup dopo la perizia dei carabinieri del Ris sui proiettili utilizzati dai sicari. Si tende a dimostrare che l’arma usata per uccidere Bosio, una calibro 38, sarebbe la stessa che sette mesi dopo, il 5 giugno 1982,viene usata per  uccidere due meccanici di Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Per quel duplice omicidio, Madonia e’ stato condannato.

Come in tutti i processi di Mafia, Madonia è indagato in base alle  dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ma non si trovavano riscontri e l’inchiesta stava per essere archiviata l’anno scorso. Il gip ha invece chiesto nuove indagini e cosi’ sono venuti fuori i proiettili del delitto rimasti dentro una cassaforte dell’istituto di Medicina legale del Policlinico.

Le indagini sul caso Bosio erano state archiviate negli anni ’80 e poi riaperte tra il ’95 e il ’96, per essere poi di nuovo archiviate. Ad averle riaperte nel 2005, e’ stato il pm della Dda Lia Sava che ha incrociato le dichiarazioni dei pentiti Francesco Di Carlo e Francesco Marino Mannoia, che avevano indicato fra i killer alcuni dei componenti della famiglia mafiosa dei Madonia di Resuttana. Bosio, considerato inavvicinabile dai boss, sarebbe stato ucciso per la sua inflessibilita’ nei confronti dei boss detenuto e ricoverati in ospedale.

“A distanza di trent’anni dall’omicidio di mio padre, c’e’ chi sa e che non ha mai parlato. E’ arrivato il momento di raccontare la verita’. Adesso”. E’ l’appello lanciato, attraverso l’Adnkronos da Silvia Bosio, la figlia del chirurgo ucciso sotto il suo studio davanti alla moglie.

“Mio padre non era da solo nel reparto che dirigeva all’ospedale Civico -prosegue Silvia Bosio- spero che dopo tanti anni qualcuno parli”. Silvia, che per trent’anni non ha mai smesso di inseguire la verita’, e’ una donna battagliera. Il padre e’ stato dichiarato solo da poco vittima della mafia. “Abbiamo subito trent’anni di umiliazioni -dice Silvia Bosio- sguardi di persone, i giudici quando ci sentivano non ci guardano negli occhi. Il pm dell’epoca, Domenico Signorino, se n’e’ fregato. Quando si uccise non mi stupii”.

 ”Per trent’anni i bossoli sono rimasti nascosti in un cassetto, ho tormentato per anni i magistrati”. Anche la sorella, Lilli, e’ arrabbiata, anche se ottimista per l’apertura del processo, a trent’anni di distanza: “un miracolo  ora spero sia fatta chiarezza. Per tanti anni abbiamo visto imbarazzo negli occhi della gente. Mi aspetto che adesso si trovi il colpevole”.

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