La Sardegna sceglie la solidarietà di facciata sulla guerra in Palestina. La carità pelosa, quella che non costa niente e ti lava la coscienza. Il Consiglio regionale della Sardegna ha prima osservato un minuto di silenzio: contro le guerre, contro i genocidi e in particolare contro la strage di innocenti a Gaza di Palestina. Poi più nulla, salvo l’approvazione della mozione numero 61 che prevede un non ben precisato impegno della Regione di portare avanti ogni azione utile alla costruzione della pace in Medio Oriente e nel mondo. E il compito, peraltro abbastanza pretenzioso, affidato al presidente della Regione Francesco Pigliaru di “scrivere al Presidente israeliano e all’ambasciatore israeliano in Italia con l’intento di chiedere la tregua e il cessate il fuoco”. Ma se non c’è riuscito neppure il Papa ad ottenere il cessate il fuoco! Non è stata invece discussa per mancanza del numero legale la mozione numero 62 che impegnava la Giunta regionale a fare l’unica cosa concreta che la Sardegna può attualmente fare per dare un segnale di solidarietà concreta al popolo della Palestina: impedire l’esercitazione che dal 2003 a questa parte annualmente i cacciabombardieri della flotta aerea israeliana fanno in Sardegna. La mancanza del numero legale immediatamente dopo l’approvazione della mozione precedente la dice lunga sul grado di autonomia della nostra politica regionale dalle decisioni romane. Soprattutto quando si tratta di sollevare la testa su decisioni che riguardano la brutale sottoposizione a vincoli militari della nostra isola.
Ricapitolando: in base alla mozione 61 approvata dal Consiglio regionale dopo il minuto di silenzio per ricordare le vittime dei massacri in Palestina, la Regione si è impegnata a:
- “contribuire fattivamente, nei modi in cui sarà possibile, alla ricostruzione delle strutture socio-sanitarie e civili distrutte nella Striscia di Gaza;
- creare e promuovere una tavola rotonda euro-mediterranea dei giovani per la nonviolenza, che sia luogo di incontro per le giovani generazioni che abitano tale zona e che possa formare a una cittadinanza orientata alla pace e alla nonviolenza, diventando un incontro annuale recante avanti iniziative atte a rendere tale evento un importante momento di dibattito e di formazione concreta su queste tematiche
Vedremo se questi interventi, comunque significativi per dare un segnale quanto meno di vicinanza al popolo della Palestina, saranno fatti.
Ma ormai è sotto gli occhi di tutti l’impotenza dei maggiori partiti che in questi anni hanno governato la Regione sarda, legati mani e piedi alle scelte romane, di reagire alle scelte del governo centrale che nel corso degli anni e a nostra insaputa ha armato fino ai denti la nostra regione considerandola militarmente irrinunciabile per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo.
D’altronde è un circolo vizioso: oggi il presidente della Regione sarda Francesco Pigliaru non può certo dire di no a Matteo Renzi sulle presenze militari e sulle esercitazioni (anche israeliane) in Sardegna, ma dal canto suo neppure Matteo Renzi può dire di no a Barack Obama. Con buona pace del Movimento 5 Stelle e del nostro senatore Roberto Cotti che continuano giustamente a protestare sull’inopportunità dell’acquisto degli aerei militari F-35, le cui risorse potrebbero essere meglio utilizzate per creare posti di lavoro: gli F-35, come ha detto chiaramente Obama a Renzi lo scorso marzo, dovranno essere acquistati per forza dall’Italia perché ci sono accordi internazionali che lo prevedono. Dovranno essere comprati perché in caso contrario l’Italia sarà completamente marginalizzata nell’ambito dell’alleanza atlantica.
Un segnale alla Palestina
E allora che fare di fronte a questi accordi internazionali che lo Stato ha stipulato sulla testa dei suoi cittadini?
Invece la maggioranza del Consiglio regionale, con il coraggio che l’ha sempre contraddistinta nelle scelte importanti, ha deciso di mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi e di risolvere il problema nell’unico modo che conosce: facendo mancare il numero legale.
In questo modo ha spostato l’ostacolo, riuscendo un’altra volta a non decidere, a non esporsi e a non far capire chiaramente ai sardi che non ha nessuna voce in capitolo per contrastare le scelte romane sulle presenze militari in Sardegna. Peccato: dare un concreto segnale di solidarietà al popolo della Palestina sarebbe stata anche un’occasione propizia per poter rialzare la testa.