Palma Lavecchia, scrittrice in divisa

Creato il 07 ottobre 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

Da ragazza, quando studiava per diventare architetto, non avrebbe immaginato di guidare trenta uomini in divisa e diventare scrittrice. Ma  tant’è.

Oggi Palma Lavecchia, nata nel 74 a Barletta, dirige la caserma dei carabinieri di Gaeta, dopo alcuni incarichi assunti tra Roma, Cassino e Lanciano, è sposata,mamma di due bambini e ha scoperto di saper usare bene l’emisfero creativo del suo cervello. Il 22 novembre prossimo Edizioni C’era una volta le pubblicherà Parliamone Ancora, un libro che ha ottenuto alcuni gratuiti patrocini morali. La prefazione è curata da Alessandro Meluzzi , l’Introduzione è di Ciro Scalera
http://edizionicera1volta.wordpress.com/parliamone-ancora-palma-lavecchia/

Palma non lo nasconde. “Tanti sono i sacrifici che devo fare per conciliare l’hobby della scrittura, le esigenze della famiglia e gli imprevisti del lavoro. ma vi assicuro che ne vale la pena”.

Insomma, una tipa tosta. Come ha fatto a studiare per diventare architetto e a darsi poi all’Arma? 

Mi sono laureata in Architettura, dopo aver conseguito un diploma nel settore della  Moda: Ho sempre dato libero sfogo alla mia creatività. compensata da un certo rigore, su cui, credo, abbia attecchito il desiderio di arruolarmi. Ero quasi divisa a metà. L’Arma, poi, da una parte mi ha dato e da qualche altra, mi ha tolto: mi ha dato l’opportunità di vivere in prima persona moltissime esperienze, per cui, negli anni, sono diventata più forte. Al contrario, mi ha tolto la possibilità di coltivare la parte più estrosa, evidentemente l’altra metà del mio emisfero cerebrale, quella che poi ha avvertito l’esigenza di scrivere un libro. Oggi, posso dire che i miei sogni sono stati tutti abbondantemente realizzati, e aspetto tempi migliori per esaudirne di nuovi..

Il lavoro in caserma l’assorbe molto? Riesce a fare tutto bene?

Nell’ordinario, non lavoro mai meno  di 8 ore, ma è chiaro che nel nostro mestiere tanti sono gli imprevisti. Spesso l’orologio non esiste!

Poi torna a casa e c’è la famiglia. Due bambini 

Per fortuna, quando torno a casa c’è la famiglia:. mio marito, i miei due bambini e la loro allegria. Ma anche, parlo da architetto, la casa che è quasi sempre, “destrutturata”, tutta da ricostruire. L’altro giorno, mio figlio aveva spalmato un vasetto di gel balsamico sulla parete della camera da letto, oltre che sui suoi vestiti.  Se vissute d’impatto con la stanchezza di una giornata di lavoro, queste cose possono addirittura risultare traumatiche, condurti alla pazzia. Cosa oso fare?  Mi rimbocco le maniche e quel che si deve fare, si fa. Di rinunce, è ovvio, una famiglia ne impone tante. Finché ero sola, o al massimo eravamo in due, si viaggiava, si aveva più tempo per prendersi cura di sé e dell’altro, scegliersi un vestito, uscire e divertirsi, oltre che per lavorare e rassettare. Oggi, invece, i ritmi li segnano loro Certe mattine mi sveglio con la stessa stanchezza con cui sono andata a letto, perché magari i bambini si svegliano a turno di notte, oppure sono costretta a svegliarmi prestissimo per fare ciò che non sono riuscita a fare il giorno prima. Però, alla fine, è tutto sostenibile. Basta organizzarsi. Ho la fortuna di avere un marito che una buona mano me la dà, Poi qualche volta ci sono anche i nonni.

Da dove nasce la passione per la scrittura?   

La passione per la scrittura l’ho sempre avuta, ma prima scrivevo solo poesie.  Poi, forse anche per via del lavoro, ho imparato a scrivere storie. Fare il carabiniere mi permette di conoscere un repertorio variegato di persone. Di qui il romanzo che ho scritto.Di solito mi capita così: mi metta letto, la sera, e in quei pochissimi istanti prima del “trapasso”, metto a fuoco la storia per capitoli.  E’ come se vedessi un film ad episodi. E questo mi piace..

Perché scrive?

Lo faccio per molti motivi. Innanzitutto, scrivo per dare sfogo alla creatività ed equilibrare il rigore che domina quell’altra parte dell’emisfero, come dicevo prima.  Scrivo per sancire, man mano che arrivano, le lezioni che la vita mi dà ed esorcizzare le vicende che non supero facilmente. Scrivo per condividere le mie esperienze e leggo per fare tesoro di quelle altrui. Scrivo perché mi fa sentire bene, mi trasmette serenità, un po’ come fa l’attività fisica; e chissà che non faccia addirittura dimagrire! Tante volte mi ritrovo a chiedermi come possa conciliare tutto quanto. Il primo incastro avviene tra esigenze lavorative e tutto il tempo che posso dedicare alla famiglia: è sicuramente divertente dedicarsi ad un’attività di indagine, ma è assolutamente delizioso trascorrere del tempo con i bambini, prendermi cura della nostra casa, qualche volta riuscire addirittura a sfornare un buon dolce. Il tempo per gli amici non lo facciamo mai mancare, sia quelli vicini che quelli un po’ più lontani, ma che ci vivono nel cuore. Sul comodino c’è sempre un libro da leggere, e anche se qualche volta impiego una settimana per completare una pagina …pazienza!

Veniamo al suo “Parliamone ancora”. Un libro dedicato al rapporto conflittuale madre – figlia. Autobiografico?

Si. Credo che ogni libro sia necessariamente autobiografico. Quello che bisogna stabilire è in che percentuale. Cioè.. per scrivere di sentimenti, emozioni, situazioni, ritengo sia necessario averle vissute, seppure indirettamente, magari per sentito dire. Il mio libro è, in buona parte, autobiografico, nel senso che il rapporto con la figura genitoriale femminile e caspita… dai.. chiamiamola “mamma”! è conflittuale, lo è sempre stato, seppure in un modo piuttosto fisiologico. Però, crescendo, ho iniziato a guardarmi attorno e ad analizzare non solo il mio rapporto, ma anche quello che intercorreva tra le persone che mi stavano attorno e i rispettivi genitori, e a maturare delle mie personali consapevolezze, delle convinzioni, che poi mi hanno portata a scrivere “PARLIAMONE ANCORA”.

Quali sono queste consapevolezze? 

La prima, che poi è quella che dà proprio lo spunto al libro, è che nessun genitore è eterno, e quando poi la Vita se lo porta via, resta irrimediabilmente l’amarezza del rimpianto di tutte le parole non dette, di tutti i bei gesti evitati. Spesso, tra l’altro, le tensioni scaturiscono quasi sempre da banalità, e così se ne vanno negli anni, senza che uno dei due sia capace di modificare il registro dei propri atteggiamenti e far sì che si recuperi un rapporto ingessato. Un’altra consapevolezza: il cambiamento non può avvenire da una sola delle parti, ma dall’incontro delle volontà di ritrovarsi. E’ importante individuare  un punto lontano nel passato da cui ripartire per guardare solo ad un futuro migliore. La terza riguarda il fatto che, spesso, i rapporti conflittuali sono ciclici, nel senso che si tramandano di genitore in figlio. Allora,.come si dice: ‘Chi ha più cervello dovrebbe usarlo’ per spezzare il cerchio, instaurare un nuovo percorso, o quantomeno prendere coscienza dei propri errori e cercare di non ripeterli con i propri figli. Io ci sto provando, ma i miei bambini sono davvero troppo piccoli per dire se sono o no sulla buona strada.

Quanto si sente tosta?

Sento che “tosta” è la mia vita. Quindi forse sono tosta di riflesso, per il solo fatto di riuscire a reggerla. E fino a quando continuerò ad avere un approccio ludico alle mie grandi sfide, ad affrontare con leggerezza ogni sorta di cambiamento e a cercare un risvolto positivo anche nei momenti di maggiore difficoltà, credo di potercela fare. Sempre con il sorriso sulle labbra ed una nuova storia da raccontare

                                                                                                                            Cinzia Ficco


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