Paltò di cammello

Creato il 28 dicembre 2013 da Enricobo2

Ai Giardini della stazione - Alessandria - 1938

Già ho sottolineato più volte che mio papà, almeno prima di sposarsi, amava fare l'elegantone, pur con i mezzi non credo proprio larghi del periodo autarchico dell'anteguerra. Eccolo dunque qui, ai giardini della stazione di Alessandria, coi piedi nella neve. Si nota subito il vestito scuro, i pantaloni col risvolto e le pinces pronunciate alla vita. Immancabile il panciotto con catena di orologio, cravatta a pois e sciarpa a righe, per non parlare del tranch chiaro con fodera tipo scozzese in lana pre-Burberry's. Ovviamente obbligatorio Borsalino grigio e scarpe fatte a mano, tanto quelle se le faceva lui da solo. Però ricordo bene, da discorsi vari che mi sono rimasti per la testa, che il capo a cui teneva di più e che all'epoca doveva essere davvero un must, era il classico paltò di cammello, di cui non sono rimaste purtroppo immagini fotografiche. E non parlo ovviamente del colore, ma di un autentico tessuto di lana di cammello, che con ogni probabilità, in periodo in cui l'Italia si era dotata di un Impero africano, era disponibile su piazza. Credo che avesse un sarto sotto i portici di piazza Garibaldi; d'altra parte allora i vestiti o te li faceva tua mamma o tua moglie o dovevi andare dal sarto, visto che non esisteva ancora il concetto di capo confezionato. Di quel cappotto con la martingala, pare fosse particolarmente orgoglioso e che lo tenesse come una reliquia, tanto ne magnificava il calore durante il freddo inverno, in rapporto alla leggerezza e poi soprattutto il taglio e l'eleganza specifica del capo stesso. 
Credo che lo conservasse con molta cura, ben avvolto e con le palline di naftalina dentro in estate, del resto allora il rapporto con le cose non era di certo il moderno stile usa e getta, più naturale in una società del consumo che forzatamente necessita di questa filosofia per avere una crescita costante. Lo tirava fuori solo quando faceva davvero freddo e quando andava a passeggio con i suoi amici. Poi, col matrimonio e con la guerra le cose devono essere radicalmente cambiate e anche la scala dei valori deve aver subito degli scostamenti significativi. Infatti, a parte le magnificazioni verbali al riguardo, io quel cappotto di cammello non me lo ricordo per nulla, se non per sentito dire, come di cosa che deve essere tassativamente presente nel guardaroba dell'uomo elegante. Poi, quando avevo sei o sette anni, la mia mamma si mise all'opera, prese il paletot, ormai vecchio credo, lo smembrò e a colpi di forbice e di pedale della macchina da cucire, regalo di nozze, confezionò un bellissimo paltò di cammello, con una piccola martingalina per me, che inconscio del valore dell'oggetto, lo calzavo contento quando si usciva con la neve. Mi metteva in testa un piccolo purillo marrone scuro, che prima di uscire mi calcava in testa ma un po' a sghimbescio sul lato sinistro, come evidentemente amava portare i cappelli il mio papà e attaccato alla sua mano si andava fino in via Dante a prendere tre fette di bellecalda, ma stando bene attenti, a non sporcare con le dita unte, quel bel paltò di cammello. 
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