E ci si mette in viaggio, leggendo una pagina del diario di Emanuele Patané, morto a ventinove anni, nel 2003, a Catania, e dal suo diario, Costanza Quatriglio, ospite della seconda puntata, ha tratto un film che racconta qualcosa di cui non si è mai parlato in tv. Un film che ha avuto un grande successo al Festival del cinema di Venezia.
“Un film che narra – dice la regista – di una giovane ricercatrice che parte con entusiasmo e passione e piano piano si innamora della materia scientifica della chimica, scopre il propio talento, lo trova meraviglioso, poi, via via, la disillusione. Piano piano la perdita di tutte le certezze. È un film sul dubbio, non è un’accusa all’università di Catania, non è un processo ma, un dubbio”.
“È stato diffcilissimo farlo – ci spiega Costanza Quatriglio - portare questa storia nel sistema produttivo che sta un po’ con il freno a mano tirato. Siamo partiti, in un mercato asfittico del cinema italiano. Questa storia non aveva la porta principale aperta. Poi c’è stata l’energhia di tanti che ci hanno creduto e finalmente ho trovato una produzione”.
Una storia filmica che nasca dalla cronaca, ma che diventa una storia che la oltrepassa. Porta un messaggio che parla a tutti noi: “È la quantità che fa il veleno“ è una frase del film, è la chiave del film. Perchè a questi ragazzi veniva carpita la buona fede. Strumentalizzati anche dai loro insegnanti, per fare ricerche pericolose di cui non avranno il merito. A contatto con sostanze tossiche, che però non vengono segnalate come tali, se prese in modiche dosi…invece…è la quantità che fa il veleno! È una fotografia reale di ragazzi molto motivati che stanno combattendo la precarietà. Ora, la domanda che sconvolge è quanto sia diffusa la situazione che il film racconta?
“ Sicuramente un dato incontrovertibile è che le strutture risalgono a molti, molti anni fa, e se nascono in un momento che la cultura della sicurezza va da una parte, lo stato di obsolescenza, è in se” – chiosa la regista.
Dunque il film lo dice chiaramente, è un sistema che non funziona. Emanuele evidentemente si rendeva conto delle condizioni di estremo pericolo in cui lavorava, ma la paura di perdere la sua opportunità di carriera deve averlo fatto continuare. Tutti si sentono ricattabili, hanno paura di dire che le cose non funzionano, perchè tutti hanno paura di perdere quel pezzettino di possibilità che hanno di fare avanzamento di carriera. Nessuno, fino alla presentazione dell’esposto da parte dei familiari di Emanuele, si era accorto che quel laboratorio si era trasformato da anni in una fabbrica di morti. Un film autoprodotto con taglio documentaristico che denuncia, una situazione italiana, dove la cultura non viene considerata un valore, mentre in realtà è un’opportunità di cui abbiamo bisogno.
Pane quotidiano dunque si presenta come una nuova avventura televisiva che non perde l’impronta di spazio aperto di riflessione e discussione lasciata dal suo predecessore.