Fresca di divorzio dal marito, Meg Altman (Jodie Foster) si trasferisce insieme alla figlia Sarah (Kristen Stewart) in un appartamento signorile nell’Upper West Side di Manhattan. La casa può vantare tre piani e un discreto numero di camere, ma soprattutto una stanza nascosta detta “Panic room”, rifugio blindato ideale in caso di bisogno. Ed ecco che il bisogno arriva presto: durante la loro prima notte, tre rapinatori fanno irruzione nell’appartamento.
Girare in pochi ambienti e mantenere viva la tensione fino all’ultimo non è mai facile, e se oggi c’è qualcuno che ambienta un film in una bara (Buried), quasi settantenni fa c’era un certo Alfred Hitchcock che metteva dei naufraghi su una barchetta e per un’ora e mezzo ti teneva lì (Prigionieri dell’oceano). Con David Fincher la storia è al servizio dei suoi virtuosismi, dosati nell’arco di quasi due ore eppure di una sontuosità luccicante (quel piano-sequenza/viaggio-tra-i-piani vale un film intero). Giocare sui titoli di testa è un vezzo personale, come l’uso di effetti digitali (la macchina che passa attraverso il muro o la ringhiera) e alla Fight club (le immagini che ci trascinano dentro la toppa della porta oppure all’interno di un cavo del telefono). Buona sceneggiatura di David Koepp (Jurassic park, Carlito’s way, Spider-man), da prendere senza farsi troppe domande (circa cellulare e telefono di casa, per esempio: perché vengono in mente così tardi?), semmai come inno all’unione familiare. Peccato per quel finale con qualche cliché di troppo, di sicuro poteva riservare svolte più originali. Tra gli interpreti, oltre a Jodie Foster e una giovanissima Kristen Stewart (la diva di Twilight, qui dodicenne, ricorda per l’età proprio gli esordi di una Foster bambina), il sempre efficace Forest Whitaker, Jared Leto (cantante dei “30 seconds to Mars”, già con Fincher in Fight club) e Dwight Yoakam (adattissimo per la parte dello psicopatico, è pure lui un cantante, genere country).