La posizione espressa dal Dalai Lama non è nuova: per esempio tempo fa, durante una visita a Bolzano, aveva affermato di vedere l’autonomia della gente di lingua tedesca nell’ambito della Repubblica Italiana come un modello possibile per i tibetani nell’ambito della Repubblica Popolare Cinese. Ma il fatto che ora il Dalai Lama abbia ribadito a chiare lettere nell’intervista al giornale britannico di non considerare l’indipendenza un obiettivo realistico consente a Pannella di dire che il Dalai Lama avrebbe così tolto ogni pretesto alla Cina per negare una possibilità di reale mediazione con le delegazioni del Governo tibetano in esilio (le trattative tibeto-cinesi in questi anni non hanno prodotto alcun risultato), accusate di volere comunque violare l’integrità territoriale della Cina.
I problemi che si aprono a questo punto, però, sono molti, e ci vorrebbe un libro, più che un post, per descriverli. In sintesi: l’ondata di tragiche auto-immolazioni susseguitesi in Tibet (le “torce umane”) è stata rimossa dalla Cina che le ha targate come gesti disperati di singoli anziché come espressioni di una disperazione popolare ormai giunta al culmine fra i tibetani; la Repubblica Popolare Cinese non è l’Italia, e il modello-Bolzano appare di assai difficile applicazione in un contesto giuridico-politico come quello cinese; ampi settori del mondo giovanile tibetano (in esilio e non solo) contestano ormai apertamente il Dalai Lama accusandolo di non avere ottenuto nulla, in questi anni, con la sua linea morbida (chiamata buddhisticamente “Via di mezzo”) nei confronti dei cinesi, e si interrogano perfino su un’opzione di resistenza armata. Il problema che pongono da tempo gli ormai numerosi critici del Dalai Lama anche in Occidente (per esempio l’ex presidente dell’Associazione Italia-Tibet Piero Verni) è che mantenere una linea morbida nei confronti di Pechino sia stato un grave errore dell’entourage politico che circonda e consiglia il Dalai Lama, e che viceversa una linea più dura avrebbe dato e potrebbe ancora dare maggiori risultati. Insomma, la Cina starebbe solo aspettando la morte dell’ormai anziano XIV Dalai Lama per dichiarare chiusa la questione tibetana e proprio per questo non si dovrebbe ammainare la bandiera dell’indipendenza del Tibet, pena, appunto, la virtuale sepoltura di ogni speranza dei tibetani.
Credo che Pannella sia cosciente di tutto questo eppure – mi pare – sostiene che un nuovo Nobel per la Pace al Dalai Lama – per il suo coerente sforzo di costruire una politica nonviolenta e orientata alla mediazione – darebbe maggior forza alla delegazione tibetana, dandole maggiori possibilità di far andare in porto un accordo di tutela dei diritti civili dei tibetani nell’ambito di un quadro politico nazionale cinese, come richiesto da Pechino. Chi ha ragione secondo voi? Aspetto le vostre opinioni, che mi auguro numerose: il Tibet non ha più tempo.
(P.s.: per approfondimenti su questi temi leggete su questo blog i post contenuti nella categoria “Tibet”).