Paolo Fiorino è il Sig. Lorè, in “Un matrimonio”, di Pupi Avati
Paolo Fiorino (Palmi, RC, 1938), oltre che un attore la cui biografia artistica risulta a dir poco entusiasmante, scorrendo la quale risaltano tanto estrema compiutezza quanto una notevole ecletticità (Paolo Fiorino,orgoglio calabrese), è un uomo profondamente sensibile, particolarmente dedito alla famiglia, infatti è riuscito ad intrecciare la propria vita con un percorso cinematografico, ed artistico in generale, sempre in divenire, con parecchie cose ancora da esprimere, come testimoniato da un suo sogno nel cassetto… Ma non voglio anticipare nulla, vi lascio all’intervista che Fiorino mi ha gentilmente rilasciato nei giorni scorsi a Reggio Calabria, città dove torna spesso, in particolare durante i mesi estivi, evidenziando un forte legame con la sua terra d’origine, la quale non ha mancato, e non manca, d’omaggiarlo con numerosi premi, ricevuti nel corso di questi anni: l’ultimo riconoscimento porta la data del 26 agosto, durante la serata La moda incontra il cinema, omaggio a Paolo Fiorino, presso la sede della Camera Regionale della Moda Calabria, a Laureana di Borrello (RC).“Un matrimonio” : Fiorino e Micaela Ramazzotti
Iniziamo parlando di come sia nata in lei la passione per la recitazione, che l’ha spinta a lasciare la Calabria, recarsi a Roma per frequentare l’ Accademia d’ Arte Drammatica Alessandro Fersen, esordendo infine sul grande schermo nel ’58, nel film Perfide ma belle di Giorgio Simonelli.“Un matrimonio” : Fiorino e il regista del film, Pupi Avati
“Ho iniziato a sentirmi attore sui banchi di scuola, in quarta elementare, assente il maestro, recitavo ai miei compagni le poesie di Leopardi, del Carducci, di Foscolo…In realtà a quell’età non sapevo neanche cosa significasse essere attore, il suo porsi sula scena… Quando mi recavo al cinema ed assistevo ai vari film tipici degli anni ’50, che vedevano protagonista Amedeo Nazzari (Catene, Tormento, I figli di nessuno, L’angelo bianco), nella mia innocenza di bambino pensavo fossero semplici immagini, non che sullo schermo potessero apparire persone vere… Nel leggere i cineromanzi, un giorno notai un annuncio, una casa di produzione cercava volti nuovi, mi feci fare una serie di istantanee da uno dei tanti fotografi di strada e gliele inviai: avevo dodici- tredici anni, prima mi fecero recapitare dei libri per studiare recitazione, poi mi chiamarono per un provino, ma non se ne fece nulla perché la casa di produzione fallì. A 17 anni, nella primavera del ’56, lasciai il Rione S. Caterina di Reggio Calabria, dove con la mia famiglia mi ero trasferito dalla natia Palmi durante la guerra, una città che al tempo appariva stretta per il mio dna d’artista, e partii per Roma, dove trovai lavoro come barista, così da potermi permettere la frequenza delle lezioni di recitazione (200 lire, un’ora) e poi esordire nel film da lei citato, di Giorgio Simonelli, nel ruolo di uno scassinatore”.
Come vede oggi il mondo del cinema nel nostro paese, cosa è cambiato, in bene e in male, nella proposizione delle varie realizzazioni cinematografiche? Non nota anche lei una certa restrizione rispetto al passato, tanto nella varietà che nella qualità?
Cosa consiglierebbe allora, in base alla sua esperienza, ai tanti giovani che vorrebbero accostarsi al mondo del cinema, in qualità d’attori?
“Se un giovane nutre della vera passione per il cinema, la tv, insomma per il mondo dello spettacolo in genere, in primo luogo è opportuno abbia una buona base culturale, un diploma, se non quando una laurea, poi ritengo necessario frequenti un’ accademia molto seria, quali possono essere certamente la Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico o il Centro Sperimentale di Cinematografia. Vi sono anche tante scuole di cinema sparse per l’Italia, ma non sempre sono affidabili e spesso lasciano il tempo che trovano.
Costanza e sacrificio, insieme alla passione, rimangono però i requisiti essenziali su cui fare affidamento”.
La sua carriera d’attore è stata certamente a tutto tondo, come si suole dire, ha offerto delle belle interpretazioni al cinema e in televisione, ha preso parte a delle trasmissioni radiofoniche ed è stato impegnato in produzioni teatrali: tra queste esperienze quale ha amato, e ama tuttora, di più o comunque le ha dato maggiore soddisfazione?
“L’esperienza teatrale è certo quella che ho amato di più, ma per forza di cosa l’ho dovuta trascurare: nella vita non si può ottenere tutto, occorre mettere in atto delle scelte, o la famiglia o il grande successo, il teatro ti rende girovago, ti porta lontano dagli affetti familiari … Ecco, io ho scelto di mettere la famiglia al primo posto, dapprima i miei figli ed ora che questi sono ormai grandi, i miei nipotini” .
Tra i tanti registi con cui ha potuto lavorare, ve ne sarà certo qualcuno col quale si è trovato più a suo agio, che abbia maggiormente valorizzato le sue capacità interpretative e magari al riguardo avrà ancora un sogno nel cassetto…