Paolo Giordano incontra i blogger a Milano per presentare “Il corpo umano”

Creato il 30 novembre 2012 da Ilibri

28 novembre 2012. Al “Pavé” di Via Casati, tra i bastioni di Porta Venezia e la Stazione Centrale di Milano, alcuni blogger discutono con Paolo Giordano del suo romanzo “Il corpo umano” su invito della casa editrice Mondadori. Tra di loro, per www.i-libri.com, vi sono Diego Manzetti e Bruno Elpis.

Il Pavé è di recente apertura. Ė un locale trendy che si candida a ospitare eventi culturali come quello di questa sera. “Ė anche una pasticceria!”, conferma un ragazzo dietro al bancone per la gioia dei golosi presenti. La disposizione delle sedie è – volutamente - abbastanza casuale. Su un tavolo fanno bella mostra tranci di focaccia e pizza, bevande e spremute.

Paolo Giordano arriva sorridente. Look dai colori caldi e verticalizzato in capelli biondo cenere, sguardo penetrante e dolce al tempo stesso. Stringe le nostre mani, riconosce qualcuno di noi, si concede per alcune fotografie. Il clima è amichevole, informale. Durante il colloquio viene servito vino, qualche calice viene rovesciato.

Lo scrittore dei “numeri primi” sembra favorire il clima d’immediatezza, esprime profondità originale e ha parole di incoraggiamento per i blogger (bruttina, vero, questa qualificazione! Ma peggio sarebbe definirci ‘opinionisti’, termine abusato e evocativo di tristi protagonisti del trash televisivo) “che non ubbidiscono alla logica e alla linea di un giornale”. Una garanzia di libertà per il dialogo.

Le prime domande spettano a una concittadina di Paolo. E fioccano battute sui torinesi. Così scopriamo che la scrittrice preferita di Giordano è la statunitense Elizabeth Strout, che lui stesso ha designato come vincitrice della sezione “autore straniero” del premio letterario Mondello “per la capacità di affondare la lama sottile del suo coltello”.

Si parla del troppo rapido processo di obsolescenza dei romanzi (“Ė come la decadenza delle particelle”) che confligge con la ‘lentezza’ della scrittura.

Si ripercorrono alcune tappe del viaggio in Afghanistan, ben documentato nei video realizzati, disponibili sia sul canale YT Mondadori sia sul sito www.paologiordano.it. In essi la lettura di alcuni brani ha come sottofondo le immagini girate durante la missione in Afghanistan. Inevitabile parlare delle condizioni estreme dei luoghi visitati. E del ruolo dello scrittore.

Nel romanzo sembra assente la dimensione politica del conflitto. Così ha voluto Paolo Giordano: assumere la guerra come un dato di fatto, un ambiente nel quale costruire la storia con una scrittura stratificata su diversi livelli, dei quali la trama è il livello zero.

Di fronte alla sofferenza che uno scrittore può provare nel “far morire” personaggi ben costruiti nel corso dei capitoli, Paolo cita “Il nudo e il morto” di Norman Mailer: lì il personaggio “muore in una riga”. “Ė come se, nel mio romanzo, non morissero le persone, ma alcuni aspetti di loro”.

Circa il tema che dà il titolo al romanzo, l’autore parla di “saggezza del corpo” ed evoca, come rappresentativa, la sindrome epidermica che affligge il tenente Egitto.

Le domande sono fitte, il vino scalda l’atmosfera. Si parla dell’esperienza totalizzante dell’anno del ‘servizio militare’ quando era obbligatorio: “un anno regalato al lavoro” con la soppressione dell’obbligo. Del ruolo delle donne nel romanzo (“Ogni personaggio maschile ha la sua controparte femminile, in una visione proiettiva del rapporto uomo-donna”). Della diversa genesi delle due opere (“La solitudine dei numeri primi è stata costruita in fieri, Il corpo umano è nato dal racconto di un episodio, che ha delineato fin da subito i tre atti del romanzo”).

Qualcuno domanda particolari sul difficile rapporto che Giordano sembra avere con i finali dei suoi scritti: “Faccio resistenza a chiudere un libro. E non ricordo quasi mai i finali dei libri che leggo”. E ancora: “Il mio finale naturale sarebbe uno sbriciolamento, una rarefazione di quello che è intervenuto prima.”

Con umorismo, lo scrittore indica in Yung l’autore delle sue letture più ricorrenti. Tra le curiosità: non ci sono ancora accordi per un film; la cover è opera della stessa fotografa olandese alla quale si deve la bella copertina dei “Numeri primi” ed è stata scelta per la fisicità avvolgente dei corpi ritratti, oltre che per continuità emotiva con il primo romanzo.

“La seconda opera è un po’ come il secondo figlio, si vive con maggior libertà” è forse la battuta sintesi della serata.

Anche il finale dell’incontro è all’insegna della libertà: si scattano altre foto, si pasteggia, i più tradizionalisti come Diego Manzetti e …

… Bruno Elpis

chiedono dedica e autografo sulla propria copia. Di un romanzo che adesso è più prezioso nella nostra libreria e ancor più nel nostro cuore, perché arricchito dalla testimonianza viva di chi l’ha scritto.

 

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