Einaudi *Supercoralli* (2011), 216 pagine, euro 19,50
Un padre rapisce la figlia e la rinchiude in un bunker per ventiquattro anni; ventiquattro anni di violenze, fisiche e psicologiche, stupri, vessazioni. E sette figli nati dall’incesto, da un rapporto malato che sarebbe troppo facile giudicare.
Dal punto di vista della storia, il romanzo distrugge ogni teoria di chi vorrebbe vedere il mondo separato nettamente in buoni e cattivi, vittime e carnefici. In un gioco psicologico al massacro, il carnefice diventa vittima di un meccanismo che la reale vittima mette in atto; i frutti di un’azione tremenda, se compiuta in una vita parallela (sotterranea), possono costituire la speranza, il riscatto, conferire una tenerezza inimmaginabile per chi è fuori dal bunker. Il bunker stesso diventa la vita; la protagonista si nutre di ogni afflato, suono, odore che la circonda diventando quasi essa stessa il bunker.
Un romanzo equilibrato, che fa gridare al miracolo in un mondo dove i media si cibano delle tragedie e ne costruiscono interi palinsensti di opinioni, congetture, attimi immaginati e discorsi vuoti. Bocche che si aprono e chiudono senza sosta e senza senso.
Paolo Sortino conferisce dignità alla storia, dà il giusto peso a ogni attimo, senza infierire, senza diluire, né esaltare il dolore. Tratta i personaggi con rispetto, sia Elisabeth che il padre carnefice, plasmandone una profondità psicologica che lascia spiazzati. Atteggiamenti, pensieri, azioni che al di fuori di quel mondo sotterraneo e angoscioso sembrerebbero impossibili, lì sotto trovano quasi una giustificazione, almeno nella testa dei protagonisti. Una ragione per lottare, per non cedere, o per affermare ancora una volta il proprio potere e il proprio senso della vita.
La prosa di Paolo Sortino irrompe alla mente del lettore, forse non più abituato a scrittori di così tanto talento, come un fiume in piena nella coscienza, la manda a sbattere contro gli argini con rabbia; la rabbia che si prova di fronte a questi eventi e lo sgomento di capire che a volte la disperazione, l’odio, la follia possano trovare significati.
Un linguaggio che colpisce il lettore a ogni pagina, a ogni paragrafo, ora con violenza, ora con dolcezza; che gli fa chiudere gli occhi per cercare di scacciare un’immagine tanto efficace o che fa andare avanti, senza smettere, trascinato dal ritmo che avvolge e coinvolge.
Le metafore, figure che permettono ad alcuni scrittori di fare sfoggio di stile, vengono utilizzate e costruite da Sortino per contestualizzare, con poche parole e una sorprendente immediatezza e originalità, un’atmosfera, una sensazione, uno stato d’animo.
Un romanzo così ricco dal punto di vista stilistico, così intenso, misurato in ogni singola espressione, anche la più violenta, merita di essere letto. Una lettura difficile, un pugno dritto allo stomaco, una sensazione di impotenza non solo di fronte a drammi come questo, ma di fronte alla consapevolezza, così ben suggerita da Sortino, che anche nella più indicibile violenza sia i carnefici che le vittime possono trovare – e accettare – una ragione.
Si arriva alla fine rinfrancati, si tira un sospiro di sollievo; un altro atto di violenza, un’altra crudeltà e anche il cuore del lettore sarebbe andato nel bunker con Elisabeth e i suoi piccoli per chiudercisi a vita. E invece esce fuori, e immagina, condotto dalla delicatezza con cui Sortino porta il racconto “fuori” dal sotterraneo, le paure, le ansie, le difficoltà. E si volta a guardare Elisabeth con tenerezza.
E poi non dite che in Italia i talenti veri non vengono scoperti, vengono ignorati, non pubblicati. Il fatto è che di talenti veri ce ne sono pochi, pochissimi. E Paolo Sortino è uno di questi. Chapeax!
Monica Mazzitelli ha parlato del romanzo e ha fatto questa bella intervista all’autore qui