Il regalo con cui il presidente boliviano ha omaggiato Bergoglio lungi dall’essere una provocazione comunista è un esplicito richiamo alla morte di un prete gesuita, punto di riferimento per tutti i cattolici andini: Luis Espinal. Ecco chi era.
C’è chi ha perfino parlato di provocazione e di regalo di Stato comunista. C’è chi ha parlato del regalo del presidente boliviano Evo Morales a Papa Francesco come uno dei doni più bizzarri scambiati far capi di Stato e leader politici. La bizzarria sarebbe il crocefisso sulla falce e martello con cui il presidente boliviano ha omaggiato Bergoglio al suo arrivo nel Paese andino. Le cose non stanno proprio in questi termini.Il crocefisso in questione infatti è una riproduzione di quello che teneva accanto al proprio letto Luis Espinal, sacerdote spagnolo gesuita (come Bergoglio), poeta e regista torturato ed ucciso in Bolivia dai paramilitari nel 1980. Morales ha consegnato una riproduzione realizzata dal sacerdote gesuita Xavier Albo.
Ma chi era Espinal? E qual è il significato di un crocefisso così particolare? «Luis Espinal sostituì la croce con la falce e il martello per rappresentare la presenza del cristianesimo nelle lotte sociali per l’emancipazione dei diseredati», ha scritto in un editoriale il settimanale Acquì (fondato proprio da Espinal) qualche mese fa.
Espinal, oltre che un prete era infatti un appassionatissimo giornalista. Per lui il giornalismo doveva essere un luogo di incontro fra religiosi, cattolici e altri cristiani, laici e marxisti, impegnati in un giornalismo del popolo, con il popolo e per il popolo. Per lui infatti il giornalismo indipendente «non esiste, il giornalismo è sempre al servizio di una causa». La sua era quella dei «semplici della terra». In un articolo intitolato “I cristiani e la rivoluzione”, scrive che «alla rivoluzione partecipano laici e cristiani. Ma, in Latinoamerica, non ci può essere rivoluzione senza cristiani. Espinal però non credeva nei martiri individuali e individualisti. Pensava che i combattenti in prima linea per il cambiamento della Bolivia fossero i lavoratori, la responsabilità della liberazione per lui «è sempre in mano al popolo».
«Tacere è lo stesso che mentire», questa forse la sua frase più popolare, che campeggia sull’homepage del sito di Aquì: se si sottostà alla censura, all’autocensura, alle mezze verità, alla manipolazione, si mente.