La gallinella saggia
Oggi di Meo Porcello (in originale Peter Pig) non si ricorda nessuno, eccezion fatta per qualche cultore della produzione disneyana, mentre Donald Duck (il nostro Paperino) è ancora, a ottant’anni esatti dalla sua prima apparizione, uno dei personaggi di fantasia più amati e conosciuti al mondo.
Eppure, in The Wise Little Hen, in italiano La gallinella saggia, il breve film animato che venne distribuito nei cinema americani il 9 giugno del 1934 (il quarantaquattresimo di un formidabile ciclo di cortometraggi ideato da Walt Disney e intitolato The Silly Symphonies), Paperino era soltanto il vicepresidente di un piccolo club di scansafatiche che, oltre a lui, contava un unico altro socio, appunto il presidente Meo Porcello.
Benché Walt Disney, dopo l’enorme successo che a partire dal 1928 aveva già riscosso Topolino, avesse in animo da tempo di puntare su un carattere antropomorfo con la fattezze di un papero, è evidente come il regista de La gallinella saggia, Wilfred Jackson, nel rielaborare un noto apologo in cui una gallina e i suoi pulcini cercano invano di farsi aiutare nella semina e nella raccolta del grano, non considerasse in alcun modo Paperino una figura di maggior rilievo rispetto a Meo Porcello.
La «bomba Paperino», tuttavia, impiega poco tempo a esplodere tra le mani della Disney, che si dimostra ben felice di farla deflagrare già con il cortometraggio Orphans’ Benefit (Lo spettacolo di beneficenza per gli orfani), di pochi mesi successivo a La gallinella saggia, in cui il pennuto abbigliato da marinaio ha un ruolo di rilievo e manifesta per la prima volta quella tendenza alla rissosità che lo connoterà fortemente negli anni a venire.
Ben più di Disney, le personalità determinanti, in questa prima fase della vita di Paperino, sono – oltre al già citato Wilfred Jackson – i disegnatori Art Babbitt e Dick Huemer, che ne La gallinella saggia avevano definito la fisionomia del personaggio (presto destinata a modificarsi, con l’aumento della statura e il progressivo accorciamento di becco e collo); l’imitatore e doppiatore Clarence Nash, che dona a Paperino l’inconfondibile voce nasale e starnazzante; l’animatore Dick Lundy, il quale si rende conto, lavorando a Orphans’ Benefit, della necessità di contrapporre il papero a un qualche antagonista (nella circostanza, alcuni degli orfanelli – forniti di sembianze topolinesche – a favore dei quali Donald si esibisce su di un palcoscenico); lo sceneggiatore Bob Karp e il disegnatore Al Taliaferro, che dal 1938 si occupano della striscia di Paperino ideando personaggi del calibro dei nipotini Qui, Quo e Qua.
La vera svolta nella fittizia esistenza paperinesca si ha però nel 1942, allorché (in seguito all’affermarsi del cosiddetto formato comic-book, gli albetti spillati a colori di 17×26 cm tipici dei supereroi) inizia a occuparsi dei fumetti di Paperino e soci colui che si rivelerà uno dei più geniali cartoonist di tutti i tempi, l’americano Carl Barks, che oltre a inventare una miriade di personaggi tra cui, nel 1947, Zio Paperone, attribuisce a Paperino, nelle centinaia di magnifiche storie da lui scritte e disegnate, quello «spessore umano» che nel 1968 induce Dino Buzzati a parlare di Donald Duck come di una creatura in grado di competere con quelle di Molière, Goldoni, Balzac e Dickens.
Se la parabola fumettistica vissuta da Paperino in Italia a partire dagli anni Trenta meriterebbe un articolo a parte, tanto essa è stata (e continua a essere) entusiasmante e feconda grazie alla bravura dei grandi autori disneyani di casa nostra, ci pare interessante, in chiusura, spendere due parole sui non rari epigoni di Donald Duck.
Il più famoso è senza dubbio Daffy Duck, la folle anatra nera della Warner Bros. inventata nel 1937 da Tex Avery, ma non va dimenticato il papero extraterrestre Howard, protagonista di un fumetto Marvel del 1973 (di Steve Gerber e Val Mayerik) nonché di un controverso film dal vero del 1986, Howard e il destino del mondo.
La schiera più folta di emuli di Paperino è però italiana: si va dal Papy Papero di Luciano Bottaro (1952) al Paperetto di Nicola e Mario Del Principe (1956); dal pellicano Okey alla cornacchia Chico (entrambi concepiti nel 1955 da Giovan Battista Carpi per l’editore milanese Bianconi); dall’irriverente aquilotto spaziale Joe Galaxy di Massimo Mattioli (1978) alla stressatissima anatra Hiawata Pete di Francesca Ghermandi (1987), sempre prossima all’esaurimento nervoso a causa delle degenerazioni della società dei consumi.
Per concludere con la serie dei Paperotti, lanciata nella seconda metà degli anni Ottanta dalle Edizioni Masters di Milano e titolare, a partire dal 1994, di un effimero quindicinale per ragazzi contenente storie a fumetti firmate da Massimo Carboni e Jacopo Murolo. Diverse di queste proposte sono assolutamente pregevoli, ma di certo in nessuno dei casi suddetti – pensando alla statura di Paperino – è possibile dire che l’allievo abbia superato il maestro.
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- Daffy Duck
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- Howard the Duck
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- Papy Papero
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- Okey
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- La cornacchia Chico
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- Joe Galaxy
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- Hiawata Pete
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- Peperotti
Originariamente pubblicato su “Libero” del 10 giugno 2014.