“Strana la vita. Quando uno è piccolo, il tempo non passa mai. Poi, da un giorno all’altro ti ritrovi a cinquant’anni, e l’infanzia o quel che ne resta è in una piccola scatola, che è pure arrugginita.”
Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain
Credits: Morena Campani
Parigi, agosto 2015. Ti guardi intorno e vedi ovunque i volti sixty di John e Jacqueline Kennedy, che hanno tanto il sapore di messaggio subliminale, in una grande metropoli vuota e meteorologicamente altalenante: l’amore che sembra perfetto e invece non lo è. Nella città che tutto il mondo ha fatto innamorare, io mi innamoro ogni dieci minuti di un volto che mi sorride e che mi invita a prendere un caffè, un cameriere che mi chiama “la princesse”, un cane che passeggia apparentemente solo e senza guinzaglio, come se fosse nelle campagne più isolate della bassa emiliana e non in una città di oltre due milioni di abitanti. La margherita che per noi ha solo un cinquanta e cinquanta di possibilità, o m’ama o non m’ama, per loro diventa “je t’aime, un peu, beaucoup, à la folie”. Ma allora è vero che gli uomini francesi sono i più romantici del mondo, penso e chiedo, ma mi rispondono: “no, i francesi non si danno, e gli italiani che sono sensibili ci soffrono”. Mon Dieu! C’è sempre qualcuno che soffre, e qualcun altro che non soffre abbastanza. Con questi pensieri inizio la mia passeggiata, partendo da Belleville che è un quartiere completamente cinese e che io conosco grazie ai libri di Daniel Pennac sulla famiglia Malausséne; passo davanti alla casa dove è nata Edith Piaf, mi viene in mente la sua canzone che preferisco, Milord e canticchiando arrivo in Place de la Republique, che odora ancora di rivoluzione, l’ultima dedicata a Charlie Hebdo. Attraverso i grands boulevards mi immergo completamente nell’architettura liberty (che sarebbe meglio chiamare art nouveau visto che siamo in Francia) e mi sento un po’ una demi-mondaine di Boldini, un po’ meno affusolata e chic. Parigi viveur e godereccia, che ama rivendicare i propri primati: è nato prima il Musée Grévin o il Madame Tussauds? Su boulevard de bonne-nouvelle c’è un negozio dedicato al cinema, che vende vecchie locandine, pellicole, vinilini e vhs. “Adoro gli italiani, sono i più simpatici” dice il proprietario, ed è la stessa cosa che sento dire una sera, durante una cena-chantant che sembrava tanto un vertice dell’Onu, per varietà etnica: c’erano un veneto che si è innamorato di una francese e vive a Parigi, un’iraniana che fa l’artista ma che balla un qualcosa che sembra tanto la pizzica salentina, un greco-iraniano nato a Parigi che però è innamorato di una siciliana e vorrebbe vivere in Italia, un’indiana dell’India, un portoghese che parla solo portoghese, la mamma del portoghese che sembra Amalia Rodrigues, una brasiliana che ha portato una burrata, una parigina figlia di un siciliano e di un’andalusa, una ravennate che in Italia faceva l’architetto ma da quando vive a Parigi fa la regista, il figlio della ravennate che vive a Parigi ma sta studiando l’inglese e io, che non sono altro che un’italiana che vive in Italia.
Una noia mortale considerando il contesto.
Ci siamo comunque tutti capiti e tutti voluti bene, considerando la quantità di baci che sono stati scambiati. Perché i francesi fanno così: ti baciano anche quando ancora non ti conoscono. Ma non eravamo noi il popolo muy caliente? La nostra stretta di mano introduttiva, gelida e distante viene messa al tappeto al primo round dallo slancio fisico del bacio francese. Paese che vai…
Se non è questa la belle epoque, allora ditemi voi cos’è.