Poi veniva la brutta stagione. Alla fine dell'autunno, in un solo giorno, cambiava il tempo. Di notte dovevamo chiudere le finestre perché non entrasse la pioggia e il vento freddo strappava le foglie dagli alberi di Place de la Contrescarpe.
Il Café des Amateurs era il pozzo nero di rue Mouffetard,
quella magnifica strada di mercato,
stretta e affollata, che portava in Place del la Contrescarpe.
Le latrine dei vecchi casamenti, una per pianerottolo, di fianco alle scale, si scaricavano entro pozzi neri che di notte venivano vuotati pompandone il contenuto in autobotti trainate da cavalli. D'estate, con tutte le finestre aperte, il puzzo era molto forte. Le autobotti erano verniciate di marrone e zafferano e sotto la luna, quando erano in azione nelle rue Cardinal Lemoine, i loro cilindri a ruote, tirati dai cavalli, sembravano quadri di Braque.
Ma la tristezza della città giungeva all’improvviso con le prime fredde piogge invernali, mentre camminavi sparivano gli ultimi piani delle alte case bianche e non restavano che l’umida oscurità della strada e le porte chiuse delle bottegucce – gli erbivendoli, le cartolerie e le edicole, la levatrice (seconda categoria) – e l’albergo dov’era morto Verlaine dove all’ultimo piano avevo una stanza dove lavoravo.
La nostra casa in rue Cardinal Lemoine
era un appartamento di due stanze che non aveva né acqua calda né la comodità di un gabinetto all'interno.... non troppo scomodo per chi fosse abituato a una latrina esterna nel Michigan. Con una bella vista e un buon materasso e la rete sul pavimento che costituiva un comodo letto, e sulle pareti i quadri che amavamo, era un appartamento allegro, ridente.
Se nel Luxembourg la luce se n'era andata, attraversavo il giardino e mi fermavo nello studio-appartamento dove abitava Gertrude Stein, al 27 di rue de Fleurus.
Mia moglie ed io eravamo andati a trovare la signorina Stein, e lei e l'amica che viveva con lei erano state molto amabili e cordiali e noi eravamo rimasti incantati dall'ampio studio con i magnifici quadri. Era come una delle mgliori sale nel più bello dei musei, tranne che c'era un grande caminetto ed era calda e accogliente e ti davano buona roba da mangiare....
La signorina Stein era molto grossa, ma non alta e aveva la corporatura massiccia di una contadina.
(il monumento di Gertrude Stein che vedete in foto è a Bryant Park, New York)
Aveva occhi bellissimi e un forte viso ebreo-tedesco che avrebbe anche potuto essere fiulano e mi faceva pensare ad una contadina dell'Italia settentrionale con le sue vesti, il viso mobile e i bellissimi, folti vivi capelli da immigrata che portava raccolti sulla testa nella stessa foggia in cui li aveva probabilmente portati all'università.
La sua compagna aveva una voce molto gradevole, era piccola, molto bruna, con i capelli tagliati come Giovanna d'Arco nelle illustrazioni di Boutet de Monvel e aveva un naso molto adunco. Lavorava all'uncinetto la prima volta che le incontrammo e continuò a lavorare e si occupò di roba da mangiare e da bere e conversò con mia moglie. In seguito mi spiegò che lei parlava sempre con le mogli. Le mogli - questa fu l'impressione mia e di mia moglie - erano tollerate.....
.... Dissi a mia moglie Sai, Gertrude Stein è simpatica, tutto sommato.... Però a volte dice un mucchio di stupidaggini. Io non la sento mai, disse lei. Sono una moglie. E' la sua amica che parla con me.
(Ernest Hemingway - Festa Mobile - Traduzione di Vincenzo Mantovani - Ed. Oscar Mondadori 1969)
.... Fernande (Fernande Picasso) fu la prima moglie di un genio con la quale ebbi a parlare. I geni venivano e stavano con Gertrude Stein, le mogli con me..... Cominciai con Fernande, poi vennero madame Matisse, Marcelle Braque, Josette Gris, Eve Picasso, Bridget Gibb, Hadley e Pauline Hemingway, la signora Sherwood Anderson, la signora Ford Maddox Ford e quelle d'infiniti altri geni, mezzi geni, e geni presuntivi, tutti con moglie, e io mi sedetti a discorrere con queste mogli, dalla prima all'ultima, e poi più tardi, molto più tardi, mi sedetti a discorrere con i mariti. Ma Fernande fu la prima.
(Gertrude Stein - Autobiografia di Alice Toklas - Traduzione di Cesare Pavese - Ed. Mondadori 1963)