La strage che si è consumata mercoledì negli uffici del settimanale satirico parigino Charlie Hebdo, in cui sono rimaste uccise 12 persone, segna una svolta nell'azione terroristica.
Colpire una capitale europea era, da tempo, tra le possibilità: scenario studiato, programmato, acquisito. Quello che stupisce, magari, è la facilità con cui il blitz è stato messo in atto: gli attentatori, vestiti di nero, in assetto da battaglia, sono scesi dalla propria auto davanti alla porta di ingresso della redazione – qualche testimone dice che prima hanno pure sbagliato indirizzo.
Il giornale era stato già colpito da una molotov, che ne distrusse gli uffici, nel 2011: era un obiettivo altamente sensibile per la propria esposizione (satirica) sui temi del radicalismo religioso, ma ciò nonostante non c'erano poliziotti fissi di guardia – due erano assegnato a turno alla sicurezza personale del direttore, Stephan Charbonnier, Charb, rimasto vittima anch'egli della sparatoria, per il resto una pattuglia passava ogni mezz'ora (si chiama sorveglianza dinamica).
Il colpo a sorpresa, spesso richiamato dagli ideologi e pianificatori jihadisti come tattica da utilizzare in Occidente, è riuscito alla perfezione: ed è questa il primo elemento importante. La reazione c'è stata: stupore, rabbia, discussione. Materiale perfetto per la propaganda radicale islamica. Era ciò che cercavano, e lo hanno ottenuto. Hanno colpito la libertà di stampa, di espressione, uno dei valori fondanti della Democrazia occidentale. Hanno sfregiato con l'integralismo religioso, la città simbolo della laicità (repubblicana, secolarista, illuminista). Lo hanno fatto in una nazione ricca di musulmani, e delle proprie tradizioni, che vive un periodo difficile sul tema dell'immigrazione, anche per i proclama della destra lepenista. Tutte componenti importanti, per far breccia nei cuori di possibili proseliti.
Al momento della stesura del pezzo, i due attentatori non sono stati catturati. Non è chiaro nemmeno se si tratti di “lupi solitari”, schiantati estremisti infervorati dalla propaganda jihadista, oppure di cellule organizzate. Said e Chérif Kouachi, due fratelli sulla trentina sono in cima alla lista dei sospettati. Uno di loro, Chérif, è già conosciuto agli inquirenti: aveva rapporti con elementi legati al mondo del terrorismo, era stato arrestato per tre anni nel 2005 perché voleva andare in Iraq a combattere gli americani passando da Damasco – lui non ci riuscì, ma ai tempi, molti jihadisti attraversarono il confine siro-iracheno protetti dallo scudo di Assad, che incoraggiava il jihad in modo strumentale contro l'Iraq.
I dettagli più tecnici, raccontano di un blitz eseguito con precisione, un addestramento militare non comune: sebbene con errori commessi (la patente dimenticata in auto, una scarpa persa durante l'azione, la fuga non proprio pianificata nei minimi dettagli) i militanti si sono mossi in modo fluido quanto letale. A Parigi si è dunque visto qualcosa di diverso da quello che nei giorni passati hanno vissuto Ottawa, Sydney o Bruxelles. Per questo la pista della cellula, legata gerarchicamente a un'organizzazione più importante, sembra credibile. Secondo testimoni, uno dei sicari avrebbe detto chiaramente, in francese fluente, «Dite ai media che è stata al Qaida nello Yemen!».
Aqap, Al-Qaeda in Arabic Peninsula, è la sigla qaedista che opera in Yemen e che sta combattendo una sorta di guerra civile contro il governo di Sana'a – sostenuto a fatica dagli Stati Uniti – e contro i ribelli sciiti Houthi (Iran backed).
Aqap, già nel marzo del 2013 aveva inserito nel proprio magazine la “testa” di Charb tra quelle da prendere “dead or alive”: non serve sottolineare che in quel numero di Inspire (la rivista che al-Qaeda pubblica mensilmente), l'opzione “alive” era molto molto secondaria.
Il fatto che i qaedisti yemeniti, legati a doppio filo con la guida centrale Ayman al-Zawahiri, siano entrati nel gioco degli attentati in Occidente, è spaventoso. Per il momento non ci sono dati sufficienti, ma una prima tesi può essere formulata. Perché, se è vero che quella che ha colpito in Rue Appert è una cellula centralmente diretta, allora significa che al-Qaeda si sta muovendo, in grande, per riconquistare la propria fetta maggioritaria nel jihad globale.
L'organizzazione creata da Osama Bin Laden, ha perso da qualche tempo la propria centralità nella galassia jihadista: l'evocazione del Califfato, creatura nata dalla spinta proprio di un fuoriuscito qaedista iracheno, Abu Bakr al-Baghdadi, ha rubato spazio alla “Base”. E di conseguenza le ha rubato importanza, visibilità, proseliti, adepti, soldi.
Al-Qaeda che torna a colpire in Occidente, in Europa, non è solo terribile perché evoca un passato spettrale (New York, Londra, Madrid) nemmeno troppo remoto, ma spaventa perché apre un nuovo scenario: porta il terrorismo legato al radicalismo islamico su un altro livello. Un macabro salto di qualità , che può fornire ispirazione.
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