Avviso: questo post avrà molte più foto del solito, e, attenzione attenzione, le foto in questione sono fatte da me. Per quanto l’arte della fotografia mi faccia sempre scintillare gli occhi, corre l’obbligo di informarvi che non sono una professionista né ho la benché minima bravura. Poi, una volta che avrete visto gli splendidi scatti a soggetto simile della RCLV, potrete dire definitivamente addio alla mia credibilità come fotografa. Ah, e mi raccomando, passate il cursore sulle immagini e… sorpresa!
Sono veramente ancora troppo emozionata per poter scrivere qualcosa di senso compiuto sulla questione. Era uno dei miei sogni da sempre. Paris. Paris. Io vi voglio bene cari lettori, se non altro perché mi sopportate, ma vi giuro che dovrete immedesimarvi con un po’ di impegno per capire il livello di esaltazione. Sono ancora qui come una lampadina a cui hanno appena attaccato la spina. Ci ho messo un po’, appena tornata, per riuscire a connettere e esprimermi con frasi coerenti e non solo con muggiti o suoni sconclusionati.
Io mi sono innamorata di questa città. Si può? Dico di sì. Sono proprio caduta amorosa, come dicono i francesi (cioè, in realtà lo dicono anche gli inglesi, ma chissenefrega, è di posti francesi che stiamo parlando). Uscivo la mattina e venivo accolta da zaffate di profumi burrosi e panosi (neologismo coniato da me che significa “di pane”), dall’aria frizzantina come se fluttuassi nel regno delle bolle più favoloso al mondo, da tanta gente intenta a farsi i fatti suoi ma in qualche modo parte di un organismo più grande, una specie di immenso coro in cui ognuno ha la sua parte; oppure persone simpaticissime che mi salutavano pur avendomi vista per la prima volta nella loro vita in quel momento. Opere d’arte e meraviglie in ogni cavolo di angolo. Non sapevo proprio dove girarmi, dalla quantità di vera bellezza che sbucava in tutti i lati: bellezza nei palazzi, bellezza nei pavimenti, nelle vetrine, nel cielo, nelle facce,… troppa bellezza. Il mio cuore traboccava come una bottiglia di Coca – Cola ben agitata e condita di aspirina.
Tanti posti che avevo visto solo in fotografia, di cui avevo letto, immaginato, sognato, erano lì davanti a me, a distanza di occhio e di tocco. Mi è uscita qualche lacrima, non mi vergogno a dirlo. Una vera, tantissime commosse dentro di me. E’ un po’ come quel giochino che fanno i bimbi piccoli, quando devono infilare le figure nei buchi con la forma giusta… ecco, mi sentivo proprio così, come una figurina che grazie al Cielo una manina ha infilato nel suo posto predestinato.
Ho definitivamente deciso che potrei vivere tranquillamente di crêpes, omelette e croque-madame, se frapposte da fettine di pizza. Poi chiedo scusa alla mitica Ladurée, prometto che continuerò a seguirti su Twitter, ma mi sono parzialmente convertita a Foucher e godo della mia eresia. Mettetemi pure al rogo, ma come ultima preghiera da esaudire vorrei una fornitura di macarons di qualsiasi gusto. Oh sì.
E non fatemi iniziare col discorso di Versailles… se ci penso mi tremano le dita, eppoi non riesco più a scrivere. Ho visto dove ha vissuto la mia Toinette. Ho visto il suo letto. Per tutta la durata della visita ero in stato di trance, ero immersa nell’ineffabile. Ho ritrovato il dono della parola solo per gridare: “Stolti! Caproni! Levatevi e fatemi fotografare i luoghi che ho amato così a lungo in silenzio!” ad ogni altro visitatore incrociasse la mia strada, tanto erano quasi tutti giapponesi e non capivano una mazza di italiano.
Ma ora l’emozione mi sta sopraffacendo. Ascoltatevi la sinfonia preferita di Marie Antoinette come ho fatto io per prepararmi psicologicamente, e lasciate parlare le (seppur mediocri) immagini.
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