Parla Bondi …

Creato il 02 giugno 2010 da Nenet

Articolo uscito ieri su Il Giornale:

Ho ottenuto risorse preziose La sinistra si batte in difesa dei privilegi.

di Sandro Bondi.

Mentre il governo stava varando il piano della manovra finanziaria correttiva, il dibattito si è incentrato sui previsti tagli alle istituzioni culturali (l’ormai celebre lista di 232 istituti sovvenzionati dallo Stato), tagli che poi sono stati evitati, grazie al mio intervento e alla sensibilità di Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti e Gianni Letta. La questione però rimane, perché in un momento di crisi nel quale sono richiesti sacrifici a tutti, è giusto che anche il mio ministero contribuisca al risparmio complessivo dello Stato, consapevole però che l’investimento in cultura, se è fatto bene, è un potente moltiplicatore economico utile al paese, mentre ancora oggi siamo in presenza di molti sprechi e finanziamenti mal gestiti.

A tal proposito, la sinistra si prende cura sempre di meno dei problemi delle «categorie produttive» e si preoccupa sempre di più dei cosiddetti «intellettuali». La mobilitazione a favore degli orchestrali e delle maestranze delle fondazioni lirico-sinfoniche, diventate la bandiera della difesa della cultura, minacciata da un ministro e da un governo considerati ostili alla cultura, la dice lunga sull’evoluzione della sinistra italiana. E non importa se queste fondazioni hanno accumulato debiti impressionanti (svariate centinaia di milioni di euro in un decennio), non importa se in questi anni su 14 fondazioni liriche 5 sono state commissariate su richiesta degli stessi enti locali, non importa se vi sono sprechi e cattive amministrazioni che hanno condotto il settore al limite della bancarotta.

Da alcune settimane sono diventato l’uomo nero della sinistra perché ho osato proporre un provvedimento di legge che tende a riportare sotto controllo i bilanci delle fondazioni e a salvare la lirica dal rischio di fallimento. Un fallimento a cui l’hanno condotta quegli stessi sindacati abituati alla demagogia e alla irresponsabilità, e che ora si sbracciano a difesa della cultura. L’unica cosa che sanno dire è richiedere più fondi, più soldi, più finanziamenti alle fondazioni lirico-sinfoniche, al cinema, alla cultura, proprio nel momento in cui tutti sono chiamati non solo a fare sacrifici, ma anche a spendere meglio i soldi pubblici. Non conoscono la parola «riforma». Rifiutano ogni ragionamento sulla necessità di cambiare qualcosa nel mondo della cultura, proprio per liberarla dal peso asfissiante della politica e dello Stato. Non possono farlo perché fanno dipendere la cultura dagli aiuti dello Stato: quando governano, infatti, utilizzano lo Stato per alimentare le loro «cricche culturali», per emarginare tutti quegli uomini di cultura che rifiutano di essere irreggimentati in qualsiasi campo politico perché ritengono che gli uomini di cultura debbano essere liberi, e infine per condannare al silenzio quelli che non cantano in coro. Questa è la loro concezione della cultura.

La mia idea, invece, è perfino banale: la cultura, quando è vera cultura, non è catalogabile politicamente, e perciò non ci può essere una cultura di destra e una cultura di sinistra. La vera, la grande cultura, non sarà mai di parte, non sarà mai faziosa, non sarà mai intollerante. In Italia, invece, la cultura è profondamente permeata dalla politica militante, da intellettuali organici e da una ideologia che ne deforma i lineamenti. Ne faccio le spese anch’io nella mia veste di ministro della Cultura. All’inizio del mio mandato ho creduto possibile avviare un confronto con questo mondo, nella convinzione che l’intera cultura italiana potesse contribuire al rinnovamento del Paese. Fatica sprecata. L’odio, la brutale faziosità, la violenta ideologia che ancora sprigiona questo mondo culturale vicino alla sinistra è qualcosa di impressionante.

In quest’ultimo periodo, inoltre, è scattata una caccia a tutti quegli intellettuali sospettati di collaborare con il nemico. Un episodio in particolare mi ha profondamente colpito e amareggiato, quello legato al Premio Campiello, di cui hanno parlato i giornali. Secondo alcune ricostruzioni Alain Elkann, che ha l’unico torto di collaborare con il ministero dei Beni Culturali, sarebbe stato eliminato dalla cinquina del premio dopo la diffusione di un articolo de Il Fatto, scritto in un raccapricciante stile staliniano. Articolo a causa del quale alcuni giurati avrebbero mutato il loro voto precedentemente espresso a favore di Elkann. Mi scuso con lui, che è un grande scrittore, una persona perbene e lontana dagli intrighi politici e culturali, per averlo danneggiato senza saperlo. Di averlo danneggiato perché in Italia l’unico potere reale è detenuto non dal sottoscritto, che si comporta in maniera cristallina e con la sola forza delle proprie idee, ma da chi fa politica con una tale violenza propagandistica e alienazione dalla verità da spaventare nel caso avessero, loro sì, il potere.


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