Parlando di libri...

Creato il 18 gennaio 2015 da Massimo Citi

...Sai che novità. No, a parte gli scherzi, è il momento di parlare un po' dei libri letti, anche perché è un periodo di follia libraria e sto comprando più libri di quanti riuscirò a leggere in tempi brevi e quelli letti ma non raccontati rimangono sulla mia scrivania, in attesa di un cenno, due righe, un  addio. 
Diciamo che con i miei attuali tempi di lettura ho comprato libri ed e-book da leggere più o meno fino al prossimo autunno. Ed un calcolo probabilmente per difetto, anche per la mia abitudine di cacciare i libri appena comprati in angoli inattesi o singolari della mia disgraziata casa. Che poi io stia lavorando intensamente per trasfomare la mia casa nella dimora immaginata da Robert Heinlein nel suo «... And He built me a Crooked House», ovvero un tesseratte a quattro e forse anche più dimensioni è assolutamente vero: sogno scaffali che non potrò possedere in questo universo e in questa vita e una casa che faccia sembrare Versailles o Venaria una casetta del custode rispetto alla mia. Fortunatamente qualcuno - nella fattispecie mia moglie - ha ancora abbastanza buon senso per fermarmi e raffreddare i miei accessi Leopardeschi, forse perché divorata dai sensi di colpa nell'avere venti o trenta libri da leggere a sua volta...
Ma il mio rapporto con i libri e, per farla breve, assolutamente patologico. Risultato di un'infanzia solitaria trascorsa con pochi libri. Il che - l'infanzia solitaria - è praticamente l'unico punto di contatto con il già citato Leopardi. 
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Il primo libro a passare è un ottimo libro, Giuda di  Amos Oz, uscito negli ultimi mesi del 2014. Non si tratta di un saggio ma di un romanzo che si svolge nell'arco di pochi mesi: «Questa è una storia curiosa che si svolge nell'inverno tra la fine del 1959 e l'inizio del 1960», come lo presenza Oz. Il luogo della vicenda è la Gerusalemme divisa tra Israele e Giordania, dove continua una guerra non dichiarata tra Arabi e Israeliani e dove il giovane Shemuel, studente universitario è costretto ad accettare un curioso lavoro dopo la catastrofe economica che ha colpito la sua famiglia. Deve tenere compagnia a un vecchio colpito da paralisi progressiva, un individuo malato ma tutt'altro che spento che lo provoca, lo punzecchia, lo costringe a prendere posizione sull'attualità. Shemuel è un comunista tiepido e intellettuale che fino a poco tempo prima frequentava un piccolo gruppo politico in seguito scioltosi ed è reduce dall'abbandon0 della fidanzata, Yardena, che l'ha lasciato per un idrologo più anziano di lui.
Nella casa del vecchio signore, Gershom Wald, conosce una donna più anziana di lui, Atalia, una donna fredda e scostante ma che proprio per queste caratteristiche finirà per sedurlo. Il rapporto tra Gershom Wald e Atalia gli rimane lungamente oscuro, mentre nella soffitta della vecchia casa Shemuel si dedica alla sua tesi: Gesù visto dagli ebrei. E lo studio su Gesù lo conduce a riflettere e studiare la figura di Giuda Iscariota, colui che nella tradizione ha impersonato gli ebrei, il popolo dei traditori del Messia. E tra la figura di Giuda e quella di Abrabanel, padre di Atalia, traditore della causa della nazione Israeliana, nascono inattesi e imprevisti legami che Shemuel sarà chiamato a comprendere.
Un romanzo che in Israele è stato accolto con freddezza e in alcuni ambienti con aperta ostilità. L'idea che Oz riprende in un'intervista, che soltanto «il tradimento può cambiare il mondo» ha un risultato necessariamente provocatorio per un paese richiamato a un nazionalismo feroce dalle forze della destra locali. Un romanzo ricco di riflessioni decisamente stimolanti, di personaggi ritratti con affetto, di storie dimenticate o ignorate e di una Gerusalemme raccontata con delicata malinconia: 
... in sottofondo vi capiterà di udire la melodia lontana di una fisarmonica o le struggenti note di un'ocarina, sul far della sera, dietro un'imposta chiusa.
Ultima nota sulla vicenda di Giuda così come l'ha narrata Oz, un personaggio diverso dai tanti Giuda ritratti nella storia d'Occidente: un uomo facoltoso ma tormentato da un'illusione che si rivelerà infine fallace, contrapposto a un Gesù incerto, provinciale, rinunciatario. Un ritratto originale e potente di due protagonisti delle Sacre Scritture che, in tempi di fondamentalismo feroce, consiglio vivamente di leggere a tutti: credenti e atei. 
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Cambiando completamente tempo, genere e luogo, passo a L'ultima Colonia (The Last Colony), romanzo di sf del 2007 di John Scalzi. Il titolo del libro fa apertamente riferimento alla colonia che due ex-militari, John e Jane, vengono chiamati a guidare in un sistema appena scoperto dagli umani. La situazione delle colonie per la specie umana è particolarmente delicata, dal momento che esistono più di trecento specie aliene che hanno trovato una sorta di equilibrio intergalattico creando un Conclave delle specie senzienti, impegnato a vigilare sulla creazione di nuove colonie. Ovviamente la specie umana, essendo arrivata per ultima o quasi, si trova a essere fortemente svantaggiata nelle sue prospettive di sviluppo e colonizzazione, sicché deve far ricorso a trucchetti e furbizie di ogni genere per riuscire a condurre in porto i suoi progetti di espansione. 
John e Jane, ignari della situazione in atto, scopriranno di essere chiamati a fondare una colonia illegale e dovranno sudare le proverbiali sette camicie per riuscire a far sopravvivere i disgraziati coloni oltre a loro stessi. 
Romanzo vivace e divertente, L'Ultima Colonia è un ottimo  esempio di Space Opera contemporanea, scritta con un'evidente dose di ironia, personaggi dai dialoghi rapidi e divertenti, alieni in qualche modo easy e  nuove Terre come se piovesse. Ovviamente se state cercando alieni che sembrino davvero alieni e un futuro governo dell'umanità che non assomigli all'amministrazione Bush farete bene a girare a largo da L'Ultima Colonia, anche per evitare arrabbiature e/o delusioni. Il buon John Scalzi non merita né le une né gli altri, avendo scritto un'opera dello spazio che dà più sul buffo e sulla satira degli States che sul drammatico o sul melodrammatico. Scordatevi La Cultura e posti come l'Entraxrln o la Rottameria. Si scrive spazio ma si legge Terra.
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Pashazade. Il primo arabesco di John Courtenay Grimwood, glorioso terzo libro della casa editrice zona42 non mi è piaciuto abbastanza. Cioè, non mi è piaciuto quanto mi sarei augurato o avrei sperato. 
E la colpa, a ben vedere, probabilmente è solo mia. 
Non mi è piaciuto il protagonista, un individuo vago, incerto, forse tossicomane e forse genio, perseguitato o accompagnato da visioni zoomorfe, inseguito dai propri ricordi, cui tutto sembra accadere per caso; non mi ha convinto l'Impero Ottomano sopravvissuto fino ai nostri giorni in un'ucronia pallida e smunta, non spiegata nelle pagine del libro, dove il mondo parrebbe sostanzialmente quello al quale siamo abituati ma senza le Guerre Mondiali, cancellate con un semplice tratto di penna ma senza fornire al lettore qualche elemento reale di differenza con il nostro mondo. Mi ha lasciato tutto sommato indifferente la vicenda raccontata, ovvero il solito thriller - mi illudevo di leggere un romanzo di storia controfattuale, non un giallo - e i personaggi mi hanno lasciato tutto sommato freddo, con l'eccezione dell'ispettore capo Felix Abrinsky, bell'animale da caccia di stirpe americana, perfetto per un buon giallo, anche se, ovviamente, scomparso troppo presto.
La colpa è essenzialmente mia, dicevo, perché mi sono illuso di leggere un buon romanzo di ucronia, con i soliti megapipponi acclusi di storia alternativa - che a me piacciono, da bravo storico dilettante - e la sensazione di straniamento che attraversa profondamente i personaggi e la vicenda, con la consueta benefica confusione che sposta le carte i personaggi storici rendendo - chessò -  Göring un eroe del comunismo internazionale e Patton un ricco trafficante di droga. Viceversa mi sono imbarcato in un thriller di ambientazione esotica con un James Bond tossico. 
Perché il protagonista non mi ha convinto, mi è sfuggito tra le mani, non mi ha permesso di identificarmi né di provare qualche emozione per lui.
Perché ho sobbalzato N volte leggendo di strumenti tecnologici drammaticamente simili ai nostri, tenendo conto che - ahimé - le guerre sono state le levatrici del progresso teconologico e in un ipotetico 2014 senza guerre mondiali le condizioni della tecnologia sarebbero quantomeno molto diverse. 
E i pregi? 
Lo stile, innanzitutto - anche merito dell'ottima traduzione di Chiara Reali - rapido, penetrante, suggestivo e il luogo della vicenda, El Iskandrya, ovvero Alessandria, narrata con la pazienza e la passione degne delle pagine migliori di una guida lonely planet. E non sto scherzando.
In ogni caso la mia fiducia in zona42 resta salda e sicura. Nemmeno la mitica editrice Nord di Giancarlo Viviani riusciva sempre a soddisfare le mie aspettative. 
Sono un tipo difficile, lo so, e ho gusti complicati.
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Ultimo di questo giro La ballata di Adam Henry di Ian McEwan
Mi è piaciuto? 
Calma, un momento.
La vicenda, innanzitutto. 
Protagonista Fiona Maye, giudice dell'Alta Corte in servizio alla Sezione Famiglia. Fiona Maye è, come tutte le persone che svolgono un lavoro di responsabilità, assolutamente innamorata del suo compito, tanto da trascurare il marito, al quale non concede neppure una breve parentesi carnale di tanto in tanto. Così il consorte una domenica pomeriggio le comunica che, dal momento che ora ha un'altra e che tra loro sono passate sei settimane senza sesso, si trasferirà senz'altro dall'altra a meno che il signor Giudice non ammetta che il sesso è mancato un pochino anche a lei.
Fiona, stupita e rabbiosa, non ammette proprio nulla e così prima che la domenica sia finita si ritrova sola in una casa troppo grande. 
Il giorno dopo Fiona fa sostituire la serratura del loro appartamento rendendolo il suo appartamento - proprio ciò che sconsiglia sempre a marito e moglie che appaiono davanti a lei - e si dedica con ancor maggior impegno al suo lavoro. 
Il caso sul quale è chiamata a pronunciarsi è quello di un giovane testimone di Geova che, spalleggiato dai genitori, rifiuta ogni genere di trasfusione, nonostante sia stato colpito da una leucemia la cui terapia prevede la necessità di essere trasfuso. Il giudice ascolta i genitori, gli avvocati, fa una visita al paziente e alla fine emette il suo verdetto: il giovane Adam Henry dovrà subire trasfusioni per motivi di sopravvivenza, indipendentemente dalla sua volontà e da quella dei genitori. 
Passano alcuni giorni e il marito di Fiona ritorna a casa. L'altra donna è stata una delusione e in definitiva lui ama lei e non l'altra. Come due cani i due si annusano diffidenti, decidono di tornare insieme sia pure per prova e Fiona dà al marito copia delle chiavi di casa.
Intanto il giudice riceve lettere su lettere del giovane Adam. Questi è guarito, ha spezzato ogni legame con i testimoni di Geova ed è pieno di stima, di considerazione, perfino di affetto per Fiona, che ha più o meno tre volte i suoi anni. 
Ed è il tema dell'affetto, inarrestabile, incontenibile, insostenibile del giovane Adam a diventare il centro del libro, mettendo la povera Fiona in una situazione anche peggiore di quella vissuta con il marito. Man mano la passione di Adam cresce diventando una sorta di stalking al quale il disgraziato giudice non sa come reagire. 
Raccontare l'ultima parte del libro risulterebbe una forma di spoiling inaccettabile e quindi me ne astengo. Mi limiterò a osservare che se per tre quarti il libro risulta appassionante nel raccontare il personaggio di Fiona, la sua infanzia, le sue passioni, la difficoltà e le gioie del suo lavoro e nel descrivere i meccanismi interni del diritto e della giustizia, finisce per precipitare troppo rapidamente nell'ultima parte, lasciando il lettore perplesso e sconcertato. 
«Ma McEwan ha perso la voglia di scrivere?», è la domanda più ovvia che viene in mente ed è ovviamente troppo elementare per un autore come lui. Il dubbio che assale il lettore, una volta passata la sensazione di sconcerto, è che McEwan abbia voluto mettere a confronto i sogni coraggiosi ma destinati al fallimento del giovane poeta Adam con la disillusione e le paure degli «albori della vecchiaia» di Fiona. La sensazione di vuoto e di sottile disperazione che l'assale di fronte al fallimento apparente del suo matrimonio è poca cosa in rapporto al panico creato in lei da ciò che le chiede il giovane Adam. I due personaggi sono destinati a non potersi comprendere, quasi a rappresentare le fatali ambiguità e le impossibilità intrinseche ad ogni rapporto umano. 
In sostanza La Ballata di Adam Henry mi è piaciuto e lo consiglio a chi conosce e apprezza Ian McEwan, pur tenendo conto dell'amarezza intensa del suo testo.
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E per questa volta ho finito. 
Sono riuscito a sgombrare (parzialmente) la scrivania, anche se prevedo che tra non molto dovrò tornare a scrivere di libri. Per esempio del libro di Vincent Spasaro, 600 pagine delle quali ne ho letto più o meno la metà, l'e-book di Fabio Lastrucci e quello di Elisabetta Chicco Vitzizzai, l'ultimo Murakami... a presto!    

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