parlare a vanvera di decrescita

Creato il 27 febbraio 2012 da Gaia

Sigh. Mi scuso se ultimamente sto postando troppo (e ho anche tante cose in coda che aspettano), ma non riesco a non farlo. Per esempio: un amico mi ha mandato un link sulla decrescita suggerendomi di leggere i commenti dei lettori. Il problema è che il testo in sè era pieno di sciocchezze, ma pubblicato su un sito molto letto (quanta gente ha il tempo di leggersi le correzioni dei lettori, e quanta si fida del finto esperto che scrive cose a caso nel testo principale?). Penso sia pericoloso che persone che non sanno di cosa stanno parlando presentino ad altri una teoria di cui non hanno capito molto, smontandola.
Ieri vedo che è successo di nuovo: una persona che ammette di non aver mai superato esami di micro e macro economia parla senza conoscere, a quanto pare, né le teorie classiche né quelle della decrescita che le mettono in discussione. Ma perché chiunque sia riuscito in qualche modo ad entrare nella squadra di una rivista o di un sito, poi può scrivere tutto quello che gli pare?
Se vi va, potete leggere quello che ho da dire io a questi critici della decrescita che non hanno ben capito cosa sia.

Uno. Filippo Zuliani, ilpost
Cominciamo dalle sue affermazioni su PIL e benessere: se non lo definisce, come fa a dire che il benessere è correlato al PIL? Il benessere può essere davvero qualunque cosa, a seconda appunto delle definizioni. Inoltre, Zuliani ignora che il PIL, e quindi secondo lui il benessere, dei paesi ricchi è costruito sulle spalle dei paesi poveri depredati. Per averne una dimostrazione consiglio di informarsi sull’impronta ecologica, che ci dice quante risorse consumiamo rispetto a quante ne possiede il nostro paese (e quindi quante provengono da altrove).
Ma veniamo a una delle prime affermazioni che sfidano la logica: l’efficenza energetica non è decrescita perché libera risorse da spendere in altro. Ma stiamo scherzando?? Questo ha lo stesso senso che dire che non comprarmi una merendina non è fare la dieta perché risparmio soldi da spendere in altro cibo.. uno che fa un’affermazione del genere non dovrebbe pubblicare nulla, perché significa che non è in grado di ragionare.
Semplicemente: risparmio energia così ne produco di meno. Fine. (Tra l’altro, basterebbe leggersi bene gli autori che si cita, e lo spiegano già loro). Se poi risparmio energia e soldi e spendo denaro per qualcos’altro, questa non è decrescita. Il risparmio energetico è uno strumento della decrescita, ma ha una funzione anche in altri contesti.
La parte sul libero mercato non ha senso perché le persone sono condizionate a consumare, subiscono un bombardamento continuo che ammonta a un vero e proprio lavaggio del cervello, e il comprare a cui sono spinti non necessariamente coincide con il loro ‘benessere’ (di nuovo, Zuliani sottintende una definizione di benessere che io non condivo per niente: possesso materiale). Magari siamo tutti più felici passeggiando nel bosco piuttosto che comprando un nuovo aggeggio, ma non ce ne rendiamo conto. Per questo la teoria della decrescita cerca di aprire gli occhi.
Nessun teorista della decrescita, che io sappia, ha mai detto che non devono esistere i prezzi di mercato nel senso di far avere tutto gratis a tutti. Un classico della decrescita è l’autoproduzione: siccome devo procurarmi le materie prime, che sono finite per definizione, e usare il mio tempo, che è anch’esso finito, va da sé che non possiamo avere tutti tutto. Solo che questo sistema esiste al di fuori del mercato (oppure si basa su una forma primitiva di scambio che è il baratto, anche se di solito si parla più di autosufficienza e dono).
Sulle difficoltà di applicare la decrescita tramite un governo posso essere parzialmente d’accordo, anche se uno dei vantaggi di questo modo di vedere il mondo è che è estremamente flessibile, nel senso che, preso atto dei problemi, ogni individuo, comunità o popolo può cercare strade proprie per la loro soluzione. Inoltre la decrescita è una di quelle filosofie che predica l’autodisciplina prima di dire agli altri cosa fare, e per questo è particolarmente preziosa, perché si basa, anche se non interamente, sull’esempio.
Infine: la decrescita non è una filosofia basata sulla paura, ma sulla prudenza: come non è certo che avrò il cancro se continuo a fumare, sicuramente smettendo riduco le possibilità. Inoltre non puzzo, non ho una dipendenza, risparmio denaro e quindi ore di lavoro, non consumo risorse per la coltivazione di tabacco, e non tossisco. La mia vita migliora. Che c’entra la paura?
Soprattutto, la promessa della decrescita è quella di un futuro di sobrietà, ma anche di convivialità, di condivisione, di tempo libero, di piaceri semplici… non farà per tutti, ma di sicuro per molti è attraente.

Due. Sul Corriere leggiamo l’attacco di tale Antonio Pascale, persona che si vanta della propria incompetenza economica, e poi procede a dissertare di economia. Io che quegli esami li ho passati provo a rispondergli, anche se molta meno gente leggerà quello che scrivo io.
Contrariamente a quanto sostiene il titolo, la decrescita è il contrario di egoismo perché sostenendola i cittadini dei paesi ricchi, che hanno sprecato e depredato, si impegnano a ridurre i propri consumi per il bene dell’umanità intera. In un contesto di decrescita si può accettare che i molto poveri aumentino i propri consumi se necessario per una vita dignitosa, ma al tempo stesso criticare gli ideali consumistici che spingono le popolazioni ‘povere’ a imitare modelli deleteri propagati dall’occidente e distruttivi per tutti.
Poi, come sottolinea un lettore: perché secondo Pascale produzione e reddito sono la stessa cosa? Cito questo lettore, il signor Luca: “C’è chi si autoproduce l’insalata, questo non fa crescere il reddito, ti fa risparmiare, ti fa stare bene e ti fa mangiare meglio. C’è chi invece non produce niente ma ha un reddito elevato, tipo un operatore finanziario che compra e vende titoli tutto il giorno e che poi l’insalata se la compra nei sacchetti di plastica al supermercato.” Questa, per inciso, non è teoria economica, è evidenza. Ogni tanto bisogna ricordarsi anche di quella.
L’equazione keynesiana è buttata là e quindi non la commento nemmeno, se non per sottolineare che la prima legge dell’economia è che le risorse non sono infinite, e questo viene prima di tutto. Il pianeta è limitato, se lo consumi tutto resti senza. Sottolineare che siamo miliardi e abbiamo ancora da mangiare, quindi le Cassandre avevano torto, significa guardare solo al nostro benessere, dimenticando tutti gli altri miliardi di esseri umani che soffrono la fame, che si ammalano o muoiono in disastri ambientali causati dall’inquinamento o dal cambiamento climatico, che rischiano la vita per emigrare, che sono sfruttati per mantenere il nostro tenore di vita, e soprattutto dimenticando che se io ho la dispensa piena e la svuoto tutta in un giorno, certo che per quel giorno sono a posto, ma poi? Gli esperti calcolano, oltre a quello che abbiamo adesso, quello che ci rimane. Come spiega Jared Diamond in Collasso, le società che si sono estinte o sono crollate per aver consumato tutte le risorse disponibili spesso entravano in crisi subito dopo aver raggiunto l’apice della prosperità. Dire: stiamo pur bene, perché questi uccellacci del malaugurio lo negano?, è come guardare alla Francia prerivoluzionaria dal punto di vista di Maria Antonietta.
Aggiungo anche che qualità e quantità non vanno di pari passo, contrariamente alla bizzarra affermazione di Pascale. Innanzitutto, i più poveri cercano di imitare i consumi dei più ricchi, come teorizzato da Veblen più di cento anni fa, però non possono permettersi sia qualità che quantità, quindi devono scegliere. Se ci accontentassimo di avere poca roba ma buona, magari pur essendo ‘poveri’ avremmo cose di miglior qualità, cibo sano, vestiti belli e resistenti, case semplici ma arredate con gusto, per fare degli esempi. Ma siccome il modello del mondo in cui viviamo non è questo, é: consuma e cambia spesso, osserviamo che la gente preferisce avere tanta roba anche se di qualità scadente, contrariamente a quanto si faceva una volta, quando un vestito durava tutta la vita. Naturalmente ci sono le eccezioni, ma dire che qualità e quantità vadano di pari passo contraddice tutto quello che osserviamo attorno a noi.
Infine, per quanto riguarda la fiducia della tecnologia, io non nego che si possano trovare tecnologie meno impattanti che risolvano certi problemi, ma è anche vero che finora è la tecnologia il motore che spinge a consumare e distruggere, per mantenersi al passo e gettare via ciò che non ci serve anche se ancora funzionante. Per non parlare dei costi ambientali ed economici del sostenere un ritmo rapidissimo di progresso tecnologico, di cambiamento ed esperimenti. La tecnologia è uno strumento, né buono né cattivo: come verrà usato dipende dall’intenzione.


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