Bene fanno i sindacati ad opporsi all’intento del Ministro non tanto perché lo stesso risulti del tutto irricevibile ma perché il sindacato deve fare (dovrebbe finalmente fare) il proprio lavoro e quindi mediare affinchè si possa giungere ad una effettiva riforma dell’articolo 18 in modo di non danneggiare il lavoratore e, nel contempo, trovare una formula che, in effetti, porti alla realizzazione anche del fine ultimo dichiarato dal ministro. In buona sostanza in medio stat virtus.
Quello che però non si capisce è perché si senta la necessità di porre mano all’articolo 18 proprio ora e proprio da questo governo. I benefici di tale riforma, almeno di quella intesa dal ministro, nulla c’entrano con la crisi, anzi, sarebbero del tutto nulli nella situazione di mercato attuale. In effetti, oggi l’azienda non assume non perché timorosa dell’articolo 18 ma perché non ha necessità alcuna di assumere, data la scarsa richiesta di prodotti. Riformare la norma sui licenziamenti, invece, darebbe modo alle aziende stesse di liberarsi con maggiore facilità di lavoratori più o meno in esubero. Sembra, quindi, che col pretesto di portare benefici al mercato del lavoro si intenda invece favorire soltanto il tornaconto del datore di lavoro.
Questa è una posizione estremamente politica e certamente non dovrebbe essere intrapresa da quello che invece si dichiara un ministro tecnico. Una riforma di questo tipo potrebbe essere messa sul tavolo in una situazione economica normale, ma allo stato attuale essa sembra essere soltanto l’ennesima beffa nei confronti dei lavoratori. Senza considerare gli effetti depressivi che una maggiore facilità di licenziamento produrrebbe. Risolvere la crisi richiede ben altri interventi.
Luca Craia