Parliamo di donne

Creato il 21 ottobre 2013 da Elgraeco @HellGraeco

William Friedkin sul set de L’Esorcista insieme a Linda Blair.

Sì, parliamo di donne.
Anche se il titolo originale di questo pezzo avrebbe dovuto essere “Dacci oggi il nostro horror quotidiano”, ripensando alle storie che più hanno traumatizzato la mia infanzia, ho stabilito che la principale causa d’orrore nella mia vita è rappresentata dalle donne.
Tutti femminili sono, infatti, i personaggi le cui vicende sono state capaci di togliermi il sonno.
Quindi la mia è una vita segnata (tipo cicatrici profonde) dal genere femminile.

Non fraintendetemi, adoro le donne. Sono fantastiche.
Ma è pur vero che, statistiche alla mano, solo loro hanno il potere di terrorizzarmi, oltre che affascinarmi. Tant’è che poi, preferisco scrivere di personaggi femminili e, quando si tratta di dare un volto all’orrore nei miei racconti, preferisco che sia un volto di donna (giovane, adulta o anziana che sia, fanno sempre paura). Materiale per psicologi, o anche no, semplice questione di gusti.
Da narratore trovo però che la figura femminile sia più profonda, anche e soprattutto a causa della possibile maternità, perfetta per mettere in scena traumi repressi e altre amenità. Devono aver pensato la stessa cosa tutti i signori che mi hanno preceduto, a cominciare da William Friedkin, qui sopra.
Parliamo quindi di un orrore sottile, che sedimenta, ma anche e soprattutto di estetica dell’orrore.


Com’è nato ‘sto ragionamento astruso che ho deciso di infliggervi di lunedì pomeriggio? È scaturito dalla recente visione di Insidious e di Insidious 2 di James Wan (sì, ne parleremo prossimamente. Forse.), dove un bambino e suo padre vanno a passeggio nell’Altrove, trovandolo popolato di spiriti malvagi.
In una di queste passeggiate, il papà si trova di fronte a una famigliola che viene sterminata a fucilate da una delle due figlie, che sorride come una scema.

***

Eccoci: per quanto mi riguarda, il mix ragazzina vestita elegante, coi capelli ordinati, armata di fucile, che sorride come una pazza dopo aver compiuto una strage, è… come dire… letale.
Ma non tanto per merito di Wan.
Quanto per merito di un’altra signora: Lizzie Borden.

Lizzie Borden (Photo credit: Wikipedia)

Era l’estate del 1987, come sempre da queste parti torrida e odorosa di abeti cotti al sole.
Eravamo andati a trovare, io e i miei genitori, la sorella di mamma, in una villa in campagna, a qualche chilometro di distanza dalla nostra abitazione.
Come sempre accadeva, gli adulti si estraniavano parlando di faccende incomprensibili, e io cercavo di far passare il tempo come potevo, estasiato dalla recente lettura di un fumetto di Masters Of the Universe, dove uno Skeletor disegnato in modo prodigioso si avventurava insieme a Beast-man nei sotterranei del Castello di Greyskull per sottrarre la Spada del Potere, e curiosando nel reparto libri di mia zia, che, vivendo in campagna da sola, adorava i gialli a base di massacri. Tipico passatempo delle anziane signore che vivono da sole, nevvero?
Le copertine di questi volumi, in gran parte Mondadori, coi tipici cerchi, e Giallo Selezione, erano figlie dell’exploitation del decennio precedente: colori accesi, orrore sui volti realistici dei soggetti ritratti e altre e simili efferatezze.
Me ne capitò uno in particolare tra le mani, il Giallo Selezione n. 89: Il Caso di Lizzie Borden.

In copertina, una donna in abiti ottocenteschi macchiati di sangue s’allontanava correndo, col volto pieno di orrore, da una magione. Brandiva un’ascia anch’essa sporca di sangue.
Sulla parte inferiore, era riportata la maledetta filastrocca:

Lizzie Borden una scure pigliò,
e a suo padre quaranta colpi vibrò;
e quando vide ciò che aveva fatto,
ne diede alla madre ben quarantaquattro.

Sì, la versione inglese della filastrocca è leggermente diversa. Si trattava infatti di una traduzione in rima. Che è molto più efficace, a mio avviso.

Ecco, capite subito quanto possa essere dirompente la combinazione copertina atroce & filastrocca nera su un bambino di undici anni, cresciuto a pane e Lamù.
Sì, fino allora erano stati i cartoni giapponesi, più qualche infelicissima incursione di Regan (la bambina de L’Esorcista intepretata da Linda Blair, che mi aveva privato di tante notti di sonno) e di Cheryl (la sorella artista di Ash ne La Casa, che avevo paura si materializzasse in camera e mi piantasse una matita nella caviglia). Ma, come vedete, son sempre e solo… donne.

Comunque, arrivò Lizzie Borden e la sua ascia. Arrivò come un maglio, complice anche il fatto che in quelle settimane anche noi abitavamo in campagna: la villa non era certo una magione ottocentesca, ma era in campagna, ed era abbastanza isolato, là intorno. E un’ascia non era impossibile da trovare.
In più, c’era la questione imprevedibilità, tipica del crollo nervoso istantaneo: una dolce signora che si trasforma, nell’arco di pochi secondi, in un’assassina, salvo poi dimenticare tutto. Chi ha detto Profondo Rosso? Vi ho sentito! Sì, anche lì, guarda un po’, è colpa di una pazza psicotica.

***

Cropped screenshot of Bette Davis and Joan Crawford from the film Category:Whatever Happened to Baby Jane? (film) (Photo credit: Wikipedia)

Lizzie Borden, per la cronaca, fu una donna americana che nel 1892, all’età di 32 anni, fu processata e di seguito assolta per il duplice omicidio di suo padre e della matrigna, uccisi rispettivamente con 11 e 19 colpi. Di ascia.

Quindi c’era pure l’aggravante della storia vera. Ed era vera per davvero, stavolta.

Non fosse bastata Bette Davis che torturava la sorella Joan Crawford in Che fine ha fatto Baby Jane. Anche lì, l’aspetto da megera dell’attrice, il viso stravolto dalla maschera della follia era duro da mandare giù.

A questo punto vi starete domandando: che razza di infanzia hai avuto?

Niente di speciale, quella di tutti i miei coetanei, quando sebbene mancasse internet, si potevano raggiungere le storie di sano orrore dovunque si volesse, in edicola, in libreria, in TV, dove passavano filmetti delicati come Suspiria alle tre del pomeriggio, a ciclo continuo, senza filtri o censure.
Perché è vero, poi non si riusciva a dormire, dopo aver visto le maledette gemelline dell’Overlook Hotel (sì, lì c’era Jack Nicholson con l’ascia, è vero. Ma… anche lui era poco o nulla rispetto alla donna putrefatta nella vasca da bagno della camera 237, che rideva protendendo le mani gonfie verso Jack, o rispetto alle fottute gemelline: prima e dopo la cura, quando giacciono per terra nel maledetto corridoio. E l’ascia c’è anche lì.), ma l’horror era bello. E terribile. Un po’ come il sublime kantiano.

Era una paura positiva, che educava a temere il male, a diffidare dei pazzi col viso strano e delle signore sessantenni con le rotelle fuori posto. Ti insegnava a temere di svoltare in un corridoio, per paura di trovarsele di fronte entrambe e sentire le loro vocine sussurrare: Vieni a giocare con noi? Per sempre, per sempre, per sempre… e cose così.

Le donne spaventose si celavano in ogni dove, e né la maschera da Hockey di Jason, né gli artigli di Freddy potevano competere col pianto di Azzurrina. Non c’è mai stata storia. Non hanno mai avuto una chance, i signori uomini.
Esse, i mostri, si celavano non tanto sotto al letto (perché il mio sotto aveva dei cassetti estraibili, quindi non c’era spazio perché qualcuno potesse infilarcisi, eh eh eh), ma erano sempre lì fuori, nel corridoio buio, ad aspettare pazienti che mi distraessi per farsi vedere all’improvviso e farmi venire un colpo.
E il dopo non aveva importanza. Non avrei saputo come reagire, una volta che si fossero mostrate. Ovviamente non è mai successo.
La magia era l’angoscia di vedere spuntare tutte queste donne terribili, create di proposito da autori (e autrici, forse) malvagi e sadici per popolare la mia infanzia di mostri.
E sapete che c’è? Che in fondo mi manca, quella sensazione. ^^

E voi? Parlatemi delle vostre paure, se vi aggrada.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :