Ieri sera sono uscita con un uomo. Un appuntamento al buio rimediato grazie al sito per single al quale sono iscritta. Di lui mi ha colpito la scrittura, scoperta tramite una mail con cui ha tentato l'approccio. Riuscendoci.
Essendo un tipo pragmatico, gli ho chiesto di evitare le lungaggini delle chat (invero a me un po' invise) per incontrarci il prima possibile. Credo molto, infatti, nel linguaggio non verbale e nelle vibrazioni che la persona può trasmetterti. Sì, insomma, credo molto nella chimica. E quella non può avvenire se c'è uno schermo che ti fa da filtro, se non da scudo.
Lui (che chiamerò il filosofo) è un po' più grande di me. Un bel po' a dire il vero. Tanto che la sua prima figlia (avuta quando era giovanissimo) ha solo 4 anni meno di me.
Il primo contatto telefonico mi ha lasciata un po' perplessa. Il filosofo ha la erre moscia. Di quelle tipiche della Napoli bene. O di Federico Salvatore quando prende in giro, per contrasto col buzzurro, il partenopeo altolocato.
Ma ho superato il mio snobismo e mi sono recata all'appuntamento come si conviene: indossando i miei tacchi a oltre due mesi di distanza. Per fortuna il ginocchio ha retto e mi ha portato al bar per l'aperitivo.
Il filosofo è una persona interessante, estremamente colta ed è un uomo che ha molto vissuto. E, quindi, ha molto da raccontare. Fa l'imprenditore, ma a tempo perso (sic!) è anche psicoterapeuta, con tanto di pazienti e studio associato. Lo sapevo che prima o poi facevo questa fine!
Probabilmente è anche agiato economicamente (un'assoluta novità per me) e, infatti, tra le mie proteste non mi ha permesso di pagare né l'aperitivo né la successiva cena. Eh già, perché in realtà la serata ha preso una strana (o solita?) piega, complice anche l'antifurto della sua nuova auto entrato in azione al primo sorso di aperol soda.
Lasciati i bicchieri ancora pieni, siamo corsi a vedere quale fosse il problema. Ovviamente non c'era, se non per l'alta, sofisticata e delicata tecnologia che ha deciso di lasciarsi prendere dal panico per una portiera lasciata aperta troppo a lungo. Mi è venuta in mente, allora, la storia delle penne spaziali. Sì, insomma, di quelle penne fatte realizzare dalla Nasa con grosso dispendio economico e di cervello, perchè l'inchiostro scendesse anche in assenza di gravità. Mentre, dall'altro lato del globo i Russi decidevano di usare le matite!
Ovviamente ne ho approfittato per raccontargliela, prendendolo un po' in giro. Il che ci ha dato modo di rompere il ghiaccio delle formalità e iniziare a parlare con più interesse e trasporto. Davanti a un filet mignon e a un bicchiere di vino, ovviamente. Visto che il cameriere del bar, lentissimo nel prendere l'ordinazione, si è trasformato poi in Flash Gordon quando abbiamo lasciato incustodito per due minuti l'aperitivo nemmeno consumato.
Comunque sia siamo entrati in un ristorantino della mia città con il quale prima o poi dovrò decidermi a stipulare una convenzione. Con clausola di riservatezza, visto che ogni volta che ci vado il mio accompagnatore è sempre diverso. E lì abbiamo iniziato a parlare. E a parlare. E a parlare ancora. Di cose che farebbero scappare a gambe levate il più arrapato degli uomini. Perché da Kant siamo passati alla letteratura sudamericana. Poi a quella russa. Per tornare alla filosofia (ma questa volta di Hegel e Aristotele) e alle vecchie ideologie di una destra e una sinistra che ormai fanno parte dei libri di storia.
Parole, parole e ancora parole. Sui nostri viaggi, sulle nostre storie, sulle nostre vite. E poi il primo contatto. Mi prende la mano e mi dice - in inglese - che ho una pelle morbidissima. Poi, quando gli altri avventori ci lasciano soli, passa ai complimenti sul mio viso. Ma non abbandona la lingua. Chissà perché. E, infine, con uno slancio che non avevo preventivato mi bacia saltando dall'altro lato del tavolo. E cerca di spingersi anche oltre. Ma io gli propongo di andare in un luogo più discreto, come casa mia. Ci alziamo, ma lui mi è ancora addosso. Mi ritrovo quasi svestita e penso che dovrò dire addio alla convenzione con il ristorante. Anzi, dovrò dire addio proprio al ristorante perchè difficilmente avrò il coraggio di rimetterci piede.
Sulla strada verso casa il filosofo sembra calmarsi. Ma a casa non mi da neanche il tempo di arrivare in camera. Perchè il Dottor (psicoterapeuta) Jekyll si è già trasformato in Mister Hyde. Ora, sono sempre stata convinta che le persone di cultura rivelino, poi, a letto una maggiore fantasia e maestria, ma non mi era mai successa una cosa del genere. Mr Hyde è l'esatto opposto di Jekyll, ma di lui conserva l'amore per la parola. Solo che è una parola diversa. Diciamo particolarmente disinibita. Per alcuni sicuramente volgare. Io credo fondamentalmente liberatoria. E, forse, per lui più eccitante del sesso stesso. Così mi ritrovo ad ascoltare ancora la sua voce con un effetto straniante. Da un lato sono presa da quello che sto facendo. Dall'altro resto perplessa. Non tanto e non solo per quello che dice. Ma perché, come si dice dalle mie parti, non sputa mai in terra (ovvero non sta mai zitto).
Quando tutto è compiuto, restiamo un po' sul letto... a parlare. Ancora?!?
Fortunatamente si è fatto un po' tardi. E' l'una di notte e lui deve riprendere la delicatissima auto per tornare in quel di Napoli.
Ci salutiamo senza dirci che ci risentiremo.
Torno a letto e mi godo il silenzio della mia casa da single. Non credo che ci rivedremo. Di certo io ho bisogno di almeno un paio di settimane di silenzio per riprendermi dal fiume di parole nel quale ho rischiato di annegare.Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city.
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