Riporto una parte.
" L'affermarsi delle monoculture ha spento, anche con l'aiuto dei diserbanti e dei pesticidi, la complementarietà delle esistenze. abbiamo perduto la ricchezza di un paesaggio vario e appagante, che è divenuto per lo più insignificante perché geometrico, ripetitivo. E' amaro constatare che in esso si riflette la piatta, anonima cultura di massa di chi, tutto preso dal precisi profitti, lascia spegnere in sé la complessità degli interessi.
Con l'affermarsi dei nuovi modelli culturali i contadini hanno perduto parte della loro autonomia. Sono, sì, ancora liberi dalla sudditanza di un padrone, ma producono per il mercato, dal quale dipendono e al quale devono ricorrere, quasi alla pari degli altri, per acquistare i beni di consumo.
Anche noi tutti siamo divenuti, molto più che in passato, parte di un meccanismo che ci costringe, e non possiamo, da soli, intervenire per indirizzarlo secondo la nostra volontà. Sarebbe assurdo non apprezzare le conquiste del nostro tempo, ma al fondo di molti aleggia un'inquietudine, che a momenti diventa cruccio, perché, anche se la coscienza di aver fatto il nostro dovere ci rende sereni, sappiamo che non possiamo sottrarci a una dipendenza sempre più condizionante.
Un bilancio di confronto, che scavasse in profondità, tra quanto abbiamo acquisito e quanto abbiamo perduto dimostrerebbe forse che lo scarto a favore del nuovo non è tanto grande quanto abitualmente si ritiene."
Tratto da "Requiem per la Piantà" di Terenzio Sartore da "il Giornale di Vicenza" a XLVI, n. 52, 22 Febbraio 1992 p. 7