Братья Карамазовы (parte 1)

Creato il 02 settembre 2011 da Vpostulato @luballets
"Se un seme cade a terra e non muore rimarrà solo;
ma se muore allora darà molti frutti."

Cari amici...
Il ritorno al commento di un nostro lettore mi ha fatto venire in mente un possibile ciclo di post su alcuni romanzi del grande Fedor Dostoevskij (1821-1881). Inizio con quello che ho apprezzato di più: "I fratelli Karamazov".

Troppo ci sarebbe da dire sull'autore e sulla Russia del tempo per dare un'idea non sommaria delle implicazioni del romanzo. Per ora mi accontenterò di qualche spunto qui e là, sperando di invogliare chi ancora non l'avesse letto a leggerlo.

Il modo in cui io sono arrivato a leggere questo capolavoro è dei meno nobili, ma subito mi apparve il grande regalo che mi era stato fatto. Al quarto anno di liceo organizzammo, in mancanza di una gita, una tre giorni "meditativa" in un luogo isolato nei paraggi con la prof. di filosofia e il prof. di storia sul tema del male. Per noi era più che altro un modo per staccare dal tran tran scolastico. Al termine di questo ritiro, come consiglio, non come compito, ci venne consigliata la lettura de "I fratelli Karamazov". Seguii il consiglio l'estate successiva. Ho raccontato tutto questo per darvi quella che fu la mia interpretazione del libro: un romanzo corale sul male, una meditazione sul libero arbitrio e sulla sensibilità cristiana.

Mi ha sempre affascinato particolarmente il punto di vista orientale, e russo in particolare, sulla religione "occidentale". Ritengo che Dostoevskij avesse molte più cose (e di qualità) da dire sull'argomento rispetto a un pidocchio rifatto come Manzoni o, per istituire un confronto più equo, a Tolstoj, troppo ossessionato dalla sua condizione di privilegiato per costruire una riflessione assoluta e universale.

Il messaggio è semplice ma rivoluzionario: la verità, la vita, la felicità sono raggiungibili attraverso un percorso che passa attraverso il male, la caduta morale, la consapevolezza di ciò che c'è di vuoto, basso e sterile nell'uomo. Religiosità problematica quella di Dostoevskij, impregnata di dubbi e tremori (come non pensare a Kierkegaard?). Memorabili alcuni dei suoi personaggi che, durante questo viaggio interiore, perdono salute mentale, rispettabilità e, in alcuni casi, la vita.

Il libro è lungo ma ha presentato una leggibilità inaspettata: troppe volte si crede che un classico, solo perchè tale, sia inaccessibile.

Non mi avventuro ancora nella trama, cosa che farò nel prossimo post e senza svelare troppo. Il nucleo centrale è la morte violenta di un padre dissoluto e vizioso, che del padre ha perso ogni connotato. I suoi quattro figli, avuti da tre madri diverse, rappresentano diverse istanze e modalità verso la vita, la religione e la libertà. Come in un giallo, dopo un pò ci si pone la domanda: "Chi è l'assassino?" Andando sempre più avanti ci si rende conto di come questa sia la domanda sbagliata, un non aver del tutto capito il libro. Una volta chiuso, infatti, abbiamo la conferma che quella è solo una delle domande, la più esteriore, che potremmo rivolgere al libro, quasi fosse un oracolo: ad altre, più universali, più importanti, si tenta di dare una risposta, previa interpretazione e lavoro personale del lettore. Dostoevskij è un grande della letteratura di ogni tempo perchè, come ogni grande, lascia spazio, anzi, ESIGE, una partecipazione attiva del lettore, una spinta creatrice dal lettore, che non è spettatore del tutto inerte di una vicenda come un'altra.

Concludo questo primo post. Quando si parla di Dostoevskij si tende a ricordare i personaggi maschili, più o meno corrotti. Io vorrei ricordare la forza espressiva delle sue figure femminili: sempre ambigue nelle parole e nei gesti, capaci sempre di dire una cosa e pensarne un'altra, diventano protagoniste di complessi intrecci in cui la psicologia, l'orgoglio e la morale individualista o religiosa prendono il sopravvento sulla canonica caratterizzazione della donna tramite la passione o l'amore. (continua)


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