Parte il South Stream

Creato il 05 dicembre 2012 da Conflittiestrategie


Il 7 dicembre prossimo con una cerimonia ufficiale, verrà posta la prima pietra del cantiere per la costruzione del gasdotto South Stream (50% Gazprom, 20% ENI, 15% Edf, 15% Wintershall), che porterà, nel 2017, 63 miliardi di metri cubi di gas naturale dalla Russia in Europa, by-passando l’Ucraina. In meno di un anno Gazprom è stata capace di raccogliere la firma definitiva per il sostegno al progetto di Turchia, Ungheria, Serbia, Bulgaria e Slovenia. La Croazia rimarrà fuori (e non sarà contenta perché dovrà contare interamente sui rigassificatori nell’Adriatico ancora da finanziare), il ramo greco-adriatico-italiano sarà “per il momento” escluso. Il gasdotto terminerà in Italia – terminale del Tarvisio – e non al terminale di Baumgarten in Austria – come previsto inizialmente – dopo il veto UE all’accordo fra l’austriaca OMV e Gazprom per una joint venture finalizzata alla gestione del terminale di Baumgarten.

E’ innegabile il successo strategico di Gazprom e della Russia nell’ottenere questo primo risultato, in particolare in considerazione delle difficoltà che il gasdotto direttamente rivale, il Nabucco sponsorizzato da USA e UE, sta vivendo su tutti i fronti: governo interno del consorzio, finanziamento, percorso, approvvigionamento di gas, come vedremo più avanti.

Gazprom d’altra parte sa molto bene che dal giorno dopo l’inaugurazione dei lavori cominceranno nuove difficoltà a partire dal fatto che un gasdotto costruito, gestito e di proprietà russa sarà sempre contrastato dalla legislazione europea: il cosiddetto Terzo Pacchetto Energia, che prevede la separazione netta fra proprietà e gestione di gasdotti europei, entrerà in vigore nel 2013, prima dell’entrata in funzione del South Stream prevista al meglio nel 2017, con enormi spazi per lunghi contenziosi legali.

Per questo si sta muovendo su più fronti. Intanto ha presentato un’offerta per la società DEPA titolare della rete gas greca che il governo ha deciso di vendere: valore previsto per rete e stoccaggi, meno di 1 miliardo di €. La decisione è attesa entro brevissimo tempo e comunque entro l’anno. Concorrente principale di Gazprom la società azera SOCAR, manco a dirlo. Da notare che nessuna società europea ha presentato un’offerta finale impegnativa, certo preoccupate dalle difficoltà economiche della Grecia, cosa che preoccupa meno invece chi fa strategie di ordine superiore. Avrebbe potuto farlo l’ENI di una volta, considerando la favorevole posizione negoziale che avrebbe assunto nei confronti di Gazprom interessata comunque ad estendere il più possibile la rete dei suoi acquirenti di gas naturale. Ma le è stato detto di non occuparsi di gasdotti. Dunque sarà interessante vedere chi la spunterà fra russi e azeri.

Non basta, ora Gazprom sta esplorando la fattibilità di allargare ed allungare il Nord Stream per portare il gas direttamente al Regno Unito. La logica che sta dietro è abbastanza stringente: le riserve del Mare del Nord si stanno esaurendo e quindi gli inglesi saranno ottimi clienti nel prossimo decennio. Sebbene l’Inghilterra sia dotata di numerosi rigassificatori e si rifornisca già oggi sul mercato spot delle navi gasiere – suo principale fornitore il Qatar – , aumentando la necessità di gas, gli inglesi avranno bisogno di maggiore continuità e sicurezza degli approvvigionamenti. Sarà solo un problema di prezzo e su questo si metteranno al lavoro BP ed i suoi nuovi partner russi.

Non andrebbe, secondo noi, neanche dimenticato che BP è il partner principale di SOCAR per lo sfruttamento del giacimento azero Sha Deniz II che dovrebbe rifornire proprio il Nabucco.

Chapeau per Gazprom!

A proposito, e il Nabucco? Dopo l’accordo intergovernativo fra Turchia ed Azerbajan – che la UE vorrebbe si allargasse anche al Turkmenistan – per un nuovo gasdotto da 16 miliardi di metri cubi (estendibili in futuro) dal Mar Caspio ai confini dell’Europa (Trans-Anatolian-Pipeline, TANAP), il progetto della UE è diventato “nabucchino”. Nabucco West, che sponsorizza la rotta dell’Europa Centrale, è un consorzio fra la tedesca Rwe, l’austriaca Omv e la ungherese Mol, con altri partner, e si contende il gas azero con il consorzio TAP, che sponsorizza invece la rotta adriatica ed è costituito dalla svizzera Egl, la norvegese Statoil e la tedesca E.On. La decisione per il percorso alla base dell’investimento sarà presa entro quest’anno dal consorzio Shah Deniz II con capofila, come già detto sopra, BP insieme a SOCAR, STATOIL, TOTAL e ENI. Sebbene sia del tutto ragionevole pensare che la decisione sarà presa in realtà dal governo azero, BP ha ampi spazi di manovra come coordinatore dello sviluppo e della gestione futura del campo gas. Sapremo presto dunque se il Nabucco seguirà la rotta dell’Europa Centrale oppure quella dell’Europa Meridionale e con quali effetti politici collaterali.

Fra i perdenti possiamo però già annoverare Edison, di fresca proprietà francese, partner con i greci della DEPA nella proposta per il gasdotto ITGI, escluso dal consorzio Shah Deniz II. Edison non sta neanche tanto bene nell’altro suo consorzio, quello per il gasdotto GALSI con gli algerini della SONATRACH, che vogliono garanzie di prezzo del gas a lungo termine che invece i francesi non vogliono concedere, considerato il debole andamento del mercato europeo del gas naturale, attuale ed in prospettiva.

E’ anche probabile che fra i perdenti ci siano le ambizioni italiane (di Monti e Passera in testa come responsabili della nuova Strategia Energetica Nazionale – SEN) di diventare uno dei principali hub del gas dell’Europa come l’inglese NBP, l’olandese TTF e, anche se meno importanti, il belga Zeebrugge e l’austriaco Baumgarten. Se per hub s’intende un luogo nel quale non solo si scambia prodotto in gran quantità e fra numerosi contendenti, ma dove si determina il prezzo di quel prodotto per una’area vasta quanto un parte di continente, allora non servono solo infrastrutture fisiche adeguate – che comunque l’Italia è ancora lontano dall’avere e che necessitano investimenti ingenti – ma anche infrastrutture virtuali tali da attrarre venditori e compratori a scambiarsi contratti OTC (futures, swap, ecc.) che servono a garantire le parti dalla volatilità del prezzo del gas e dalle più generali incertezze tipiche dei contratti spot. L’italiano PSV (Punto di Scambio Virtuale) è ben lungi dal rappresentare un hub come testimonia il prezzo del gas al PSV, sistematicamente più alto del prezzo medio praticato negli altri hubs europei (da notare che l’ENI non commercia tramite il PSV), anche se dal 2011 il prezzo tende a convergere. Questo perché SNAM ha cominciato a mettere all’asta discrete quantità di gas relative ai servizi di bilanciamento. Con il risultato che oggi, Germania e Francia, quando hanno difficoltà a consumare tutto il gas contrattato con Gazprom, lo prendono lo stesso e lo vendono agli importatori italiani a buon prezzo. In caso di necessità, loro se lo comprano sul mercato spot a prezzo più basso. Il viceversa ovviamente non è possibile stante il differenziale di prezzo a noi sfavorevole.

Per la SEN così come è indicata oggi dal governo Monti, e che non sarà messa in radicale discussione da nessuno degli schieramenti politici – di sicuro non dalla “sinistra” bersaniana – è dunque abbastanza essenziale che il gas azero arrivi in Puglia e quello algerino dell’Edison in Sardegna. Quanto al South Stream è del tutto evidente che questo governo lo considera solo un progetto dell’ENI.


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