Parte VI

Da Whitemary
Feci la spesa più velocemente del solito con la conseguenza che la cassiera mi guardò più stranamente del solito. Ero impaziente di andare da Anna.Entrai nella sua bottega con aria indifferente e la salutai. Lei mi guardò un attimo e poi mi chiese se ero venuta per i pantaloni di cui le avevo parlato la settimana prima.“Si, glieli ho portati perché, come le avevo accennato, vorrei stringerli. Erano della mia prozia, ma mi sono davvero troppo larghi. Li ho trovati in soffitta. Sa, ultimamente mi sono interessata al vintage...”Mentre formulavo quest’ultima parte del discorso che mi ero preparata, pregai ardentemente che non si accorgesse che, in realtà, il vintage lo odiassi.“Diamo loro un occhiata. Magari indossali, così mi sarà più semplice capire come e dove stringerli.Accomodati pure di là dove faccio le riparazioni.”Mi scostò la tenda che separava la bottega da quella piccola stanza e si scusò per il disordine; mi disse di uscire una volta pronta.Ed è lì che sorse il problema. Non mi era assolutamente venuto in mente di provare anzitempo i pantaloni, se non altro per vedere se erano proprio disastrosi e risultasse quindi improbabile che pretendessi di farli stringere. Come temevo, una volta indossati, mi resi conto che era praticamente impossibile adattarli al mio corpo. Mentre mi osservavo schifata allo specchio mi accorsi che su un piccolo tavolo era posata, oltre alla macchina da cucire e varie stoffe e vestiti, anche una cornice. Mi avvicinai e mi accorsi che conteneva una foto di Annetta da giovane, seduta su un prato. Era bellissima, non mi ero sbagliata. La raggiunsi nella bottega e scusandomi per l’attesa, le dissi:“Quando me li sono provati la prima volta a casa, non mi ero accorta che fossero così irrecuperabili.”“Me li ricordo quei pantaloni. Tua zia li portava così bene. Le donavano moltissimo.”“Conosceva mia zia?” Ero sconcertata.“Si cara, la conoscevo. Eravamo amiche. Strano che tu non lo sapessi. Anche se, in effetti, la nostra amicizia era molto riservata. Era fatta d’incontri solitari, bevute di the e discussioni letterarie.”Perché Carla non mi aveva mai detto niente? “Sono davvero stupita! Non avrei mai pensato che sareste potute essere amiche, ma non mi fraintenda: non l’ho mai pensato semplicemente perché nulla me l’ha mai fatto sospettare.”“Non ti preoccupare cara.” La mania di Finni non era più solo la mania di Finni!“Molti si dimenticano e si sono dimenticati dell’amicizia tra tua zia e me. Vedi, anche se quarant’anni fa si era già in un epoca in cui le classi sociali non contavano più molto, questo è un piccolo paese e la famiglia di tua zia era molto gelosa della sua ricchezza e condizione, nonché del suo rango; sicuramente molto più rispettabile del mio. Per questo la nostra amicizia era un’amicizia silenziosa  e cauta: i parenti di tua zia non la vedevano di buon occhio e spesso, quindi, ci incontravamo di nascosto. In paese si faceva finta di non sapere nulla.”Mentre mi raccontava il suo rapporto con mia zia non potei fare a meno di pensare al forestiero. Se erano state così amiche, mia zia doveva sicuramente sapere se Anna aveva avuto una relazione o meno con lui. Magari in qualche suo diario, sempre se ne fossero esistiti, accennava a qualcosa o raccontava gli eventi. Decisi che avrei cercato in soffitta non appena sarei arrivata a casa.Mi misi d’accordo con Anna per i pantaloni: avrebbe provato a stringerli e ad adattarli al mio corpo, ma non mi garantì di riuscirci. In ogni caso sarei dovuta tornare la settimana seguente per scoprire se aveva avuto successo.
Arrivata a casa salutai frettolosamente J, che sembrò offendersi, e mi precipitai in soffitta. Cercai prima tra i vestiti (era improbabile che un presunto diario fosse lì, ma non si poteva mai sapere: meglio tentare ), poi tra gli accessori e successivamente tra tutte le sue gianfrusaglie varie: niente. Rimasi tuttavia colpita dalla quantità di roba che mia zia aveva posseduto e mi chiesi con quale criterio quella era in soffitta e il resto donato in beneficenza.Scesi e mi preparai una cioccolata calda che sorseggiai seduta sul divano, sfogliando una vecchia rivista. Tra le pagine vi trovai un servizio fotografico su dei bambini: ve ne erano alcuni davvero bellissimi. Una bimba dai lunghi capelli rossi era seduta su una poltrona gigantesca e sorrideva mostrando orgogliosa il suo unico incisivo, un bimbo di colore teneva in braccio un barboncino bianco che gli leccava beatamente il viso, due gemelle assolutamente identiche si tenevano per mano in mezzo a un campo di girasoli. Girai l’ultima pagina e rimasi bloccata a fissare il bambino ritratto. Avrà avuto all’incirca dodici anni ed era seduto su un molo con una canna da pesca. Stesso colore e taglio di capelli, stesso sguardo. E poi c’era la canna da pesca e quel suo sorriso. Chiusi violentemente la rivista e la scaraventai per terra. J si svegliò di soprassalto e mi guardò reclinando il muso.“Cos’hai da guardare?” Sbottai. Mi alzai e mi diressi verso la libreria. Guardai i miei innumerevoli libri, cambiai idea e mi diressi in cucina. Aprii il frigo, valutai l’idea di fare una torta e lo richiusi sbuffando. Salii in camera, mi buttai sul letto e iniziai a piangere. 

[Continua...]
B.

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