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Partenza Per l’India: Quando il Futuro Entra In Una Valigia

Creato il 05 luglio 2015 da Sunday @EliSundayAnne

La valigia, stavolta, è stata preparata tre giorni prima. Con calma.

Avevo bisogno di mettere tutte le mie cose sul letto, per poi togliere il superfluo. Come ho fatto quest’anno che sono tornata.

Questo è stato l’anno del rinnovamento interiore, e

Non ci si può rinnovare senza far pulizia, senza prima creare un vuoto da riempire col nuovo.

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Ho lasciato andare:

– amicizie che non erano tali;

– un amore grande che non riusciva a proseguire;

– un modo di vivere che non mi apparteneva più.

Così ho aperto l’armadio e ho lasciato a casa tutto ciò che non sono:

– roba elegante (ma davvero indossavo quei pantaloni a sigaretta?);

– scarpe col tacco;

– jeans e magliette che non mi rappresentavano più.

Via. Aria. Buttare.

Anche quelle mutande orrende che tengo nel cassetto da anni, che potrebbe solo più mettere la zia Adalberta.

E così, nuova, stamattina lascio casa mia. Un ultimo sguardo alla giraffa di legno, ricordo di un Kenya lontano; il frigo sbrinato e semiaperto; il letto fouton coperto da un lenzuolo bianco per non prendere la polvere; la sedia-sdraio del terrazzo piegata e riposta vicino al tavolo della cucina; la scrivania bianca nello studio piena di post-it verdi e rosa con titoli di articoli che poi alla fine non ho mai scritto. Guarderò queste cose con altri occhi, al mio ritorno. Lo so già. Un groppo in gola. Poi suona il campanello.

La mia amica Monica, pellegrina ma in terra propria, sale col sorriso e l’allegria di sempre, per accompagnarmi alla prima porta del mio nuovo cammino. “Allora, sei pronta?”.

Ho dimenticato di bloccare la lettura del gas! Basta non voglio più andare! Ok va bene vado. Solo un’ultima occhiata alla camera da letto! Ho chiuso le imposte del bagno? Sì ok basta la pianto di trovare scuse. Andiamo via.

Un respiro deciso, chiudo la porta e giro la chiave nella toppa. E’ andata. Quello che è stato è stato. Ciao casa. Ciao.

Parto con la gastrite ancora da guarire. Un buco nella gengiva sotto un dente. Occhiaie profonde che non andranno mai più via, testimoni di notti insonni a rigirarmi chiedendomi diversi perché.

E parto con attacchi di panico che vanno e vengono come le piogge in primavera. Si può soffrire di attacchi di panico e viaggiare da sole, senza per questo essere scambiate per matte? Certo che si può: basta aver affinato le proprie tecniche personali per stroncarli appena arrivano. E poi, come mi disse la mia dottoressa un giorno, “tu basta che sali su un aereo e chiudi quella casa e sei a posto”.

Sarò a posto?

Passiamo a casa dei miei genitori per un ultimo saluto.

Mio papà è nell’orto – quattro infarti e lui alle dieci del mattino è nell’orto tutto sudato sotto il sole cocente a piantare insalata, e certo, da chi avrei preso se no a fare quello che voglio nonostante tutto?

Mia mamma mi viene incontro nel cortile, con il vestito estivo che tiene in casa, il grembiule e tutto. Mamma mamma, lo so che ti fa male questa mia partenza, di nuovo. Mamma, come vorrei non essere così. Eppure io sono questa, come faccio a essere un’altra? Scusami mamma…

Lei parla con Monica come fosse un giorno come gli altri, come se non stessi per partire, come se sulla mappa del mondo appesa alla parete dello studio non avesse già segnato dov’è Dharamshala su un’India che a lei fa paura tanto quanto a me.

viaggio in india

Poi sale mio papà. Eccolo, mio papà. Un uomo forte, un ex politico che ha sempre tenuto alla sua dignità, che l’ultima volta che ha avuto un infarto e l’hanno cambiato di ospedale si è fatto trovare in reparto in pigiama e mocassini, “perché io mica esco in ciabatte, eh?”. Papà, lo so che tu pensi che io torni a settembre… ma forse hai già capito che il mio biglietto è di nuovo di sola andata. Non so se tornerò… Papà, come vorrei non essere così. Eppure io sono questa, come faccio a essere un’altra? Anche tu non avresti potuto che fare il politico, anche tu hai fatto ciò che amavi, anche tu hai inseguito la passione, papà… Scusami. Scusami tanto se parto ancora.

Cerco la gatta e la trovo addormentata sul letto. E’ un angelo quando dorme, la mia gatta. Quando dorme? Ma non sta dormendo. Ha un occhio chiuso e uno aperto. Ha le orecchie che girano come un radar mentre fa finta di dormire, ma in realtà non dorme. E’ come mia mamma, la gatta: sente tutto, anche se fa finta di niente. Anche lei sa che parto, pur senza segnarlo su una mappa. E anziché guardarmi, gira gli occhi verso la parete.

viaggio in india

“Monica, vieni a dirmi quanto peso, poi quanto peso con lo zaino addosso, poi fai la sottrazione e dimmi quanto pesa sto cavolo di bagaglio a mano!”. Certo: perché mi sono portata tre libri uno più spesso dell’altro, “Non posso vivere senza i miei libri! Questo libro mi serve per farmi venire voglia di scrivere! Questo per tirarmi su di morale! Questo per convincermi che non sono solo io la matta!”. E poi ho un bagaglio a mano che pesa come il piombo.

E’ tardi, devo andare.

Do due baci a mia mamma, mentre annuso un’ultima volta l’odore del suo collo; e lei guarda verso la parete. Come la gatta. Do due baci a mio papà, che serio mi dà anche la mano. “Non ho ancora capito perché devi andare fino in India solo per fare OHM!”.

Poi salgo in macchina, cerco di ricompormi mentre quel groppo maledetto non mi abbandona. Tocco la borsa per sincerarmi di aver preso la boccetta di Xanax. Tanto lo so che quello stupido ansiolitico non lo toccherò nemmeno. Però

Lo Xanax è lì, una coperta di Linus per chi non ha il coraggio di vivere la vita che vorrebbe.

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La macchina svolta in direzione Torino, e questo piccolo paese di provincia, con i suoi abitanti stanchi e curiosi, il mio paese odiato quando torno, amato quando parto, è già un ricordo lontano. Col pullman andrò a Malpensa dove un aereo mi porterà a Delhi, e da lì un aereo minuscolo mi porterà ai piedi dell’Himalaya, a McLeod Ganj, dove ha la residenza il Dalai Lama, e dove mi eclisserò per un mese e mezzo a studiare yoga e meditazione.

E dopo? Dopo si vedrà.

Non si possono fare progetti oltre uno o due mesi, quando ci si mette in cammino.

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Quando si cerca di inseguire un sogno è sufficiente chiudere bene a chiave la porta di una vita che non ci appartiene più.

E poi fidarsi del proprio istinto e vedere come andrà a finire.

 

viaggio in india

[Scritto sull’aereo Istanbul-Delhi, con le lacrime agli occhi]


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