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Parto in missione in Afghanistan ma non chiamatemi eroe

Creato il 17 agosto 2011 da Symbel

Parto in missione in Afghanistan ma non chiamatemi eroe

INTERVISTA ESCLUSIVA

Fra qualche settimana, la data esatta non possiamo rivelarla per motivi di sicurezza, un gruppo di soldati della Brigata Sassari (anche in questo caso il numero esatto non è opportuno svelarlo) partiranno in missione in Afghanistan per sei mesi, sostituendo l’attuale contingente della Folgore.
Noi di Moschebianche siamo riusciti ad intervistare in esclusiva uno di questi giovani soldati prima della partenza promettendo di non rivelarne il nome e di accettare di ottenere qualche risposta vaga o volutamente generica per preservare la propria sicurezza e quella di chi partirà con lui.
Le reticenze, le cose non dette o lasciate sul vago non sono dettate quindi da chissà quale trama sotterranea (lo scriviamo per i soliti complottisti e paciFINTI di turno) ma per preservare il più possibile la sicurezza di chi si troverà fra breve in una terra di conflitto in una missione che non ha certo bisogno di esser caricata di ulteriori motivi di pericolo.

Il soldato in partenza, alla sua prima missione, giovanissimo, maschio, lo chiameremo con un nome di fantasia: Alberto.

Alberto ci accoglie nella casa dove vive ancora con i genitori e ci offre subito una birra per metterci a nostro agio.

Partiamo con le domande.

Un tempo esisteva il servizio militare con la leva obbligatoria, oggi come ci arruola nell’esercito?
Dal 1 gennaio 2005, data nella quale è stato abolito il servizio militare di leva obbligatoria, per entrare nell’esercito bisogna presentare domanda, come si fa per un concorso pubblico. Si fanno le visite come avveniva in passato e ci si presenta al concorso con un punteggio basato su alcuni fattori tra i quali ad esempio il titolo di studio. Il candidato sostiene dei test psicoattitudinali, visite mediche e colloqui con psicologhi. Chi supera le visite e i test entra in ferma permanente per un anno e inizia la sua avventura da precario, con uno stipendio che si aggira intorno agli 850 euro.
Questo primo anno di addestramento ordinario e vita in caserma è principalmente finalizzato ad accumulare ulteriori punti per poi poter sostenere un esame che consiste in un test di cultura generale che assegna un punteggio che va a sommarsi con quello di base, superato il quale c’è la possibilità di essere arruolati per quattro anni in ferma prefissata e in questo caso lo stipendio sale a circa 1000 euro mensili per 36 ore settimanali.
Al termine della ferma quadriennale durante la quale si sono accumulati ulteriori punti non c’è un test scritto né orale ma viene esaminata la carriera con una formula che viene definita “concorso per titoli e meriti”.
Se non si passa subito in questa fase c’è la possibilità di rinnovare per altri 2 anni per altre due volte.
Chi si lascia sfuggire questa occasione potrebbe trovarsi a 30 anni fuori dalla caserma oppure confermato a tempo indeterminato.

Il primo bicchiere di birra è già svanito, bisogna rabboccare e Alberto non si tira certo indietro. Missione di Pace in Afghanistan, ci si offre volontari o si viene scelti e ci si può rifiutare?

Per le missioni non si viene scelti individualmente ma vengono scelte le compagnie e quindi se deve partire la tua compagnia tu sei automaticamente coinvolto. Non appena è definita la missione si chiede se qualcuno ha qualche problema a parteciparvi, non bisogna quindi candidarsi ma semmai il processo è inverso, si da per scontato che tu debba partecipare e ti si chiede se c’è qualcosa che possa impedirti di partire.
Ci si può rifiutare ma i motivi devono essere molto validi.
Naturalmente partono solo quelli che sono almeno in ferma quadriennale.

Quali sono le conseguenze di un eventuale rifiuto?
Per i militari è molto importante la carriera. Se una persona rifiuta perché ha la moglie in gravidanza o un bambino molto piccolo o altri buoni motivi si è abbastanza comprensivi ma se non c’è un motivo valido o futile è ovvio che non si viene costretti ma la propria carriera e anche un po’ la reputazione ne risulta sicuramente danneggiata visto che comunque si è valutati ogni sei mesi in virtù dell’acquisizione di un punteggio basato anche sul comportamento e sulla bontà dei servizi svolti.

Ci sono con voi anche delle soldatesse? Il loro compito in cosa differisce dal vostro?
Certo, ci sono con noi anche delle soldatesse e il loro compito è esattamente identico al nostro, senza alcuna distinzione.

In cosa consiste l’addestramento specifico per una missione? Si può essere scartati alla fine dell’addestramento o vengono presi tutti?
Non posso dirvi tutto, naturalmente, genericamente però si tratta di studiare bene il territorio nel quale si compirà la missione con un addestramento anche in diverse condizioni climatiche, alcune anche molto avverse come quelle che incontreremo in Afghanistan. C’è sicuramente una parte che riguarda l’aspetto psicologico durante la quale si raccolgono anche elementi per capire se il soldato che partecipa all’addestramento è veramente adatto alla missione che sta per compiere. Inutile dire che alcuni vengono scartati proprio perché in questa fase ci si rende conto che non si potrebbe sopportare il carico fisico e psicologico di quella che è una vera e propria vita da trincea.

Si fa un gran parlare dei soldati quasi come dei mercenari, quanto si guadagna da una missione come quella in Afghanistan?
Alberto sorride perché è una delle considerazioni più frequenti che si sentono in giro quando si parla di missioni militari.
Un soldato in missione in Afghanistan guadagnerà 130 euro al giorno, circa 4000 euro al mese per sei mesi di missione più lo stipendio che avrebbe preso comunque per quei mesi. In tutto, per uno come me, fanno circa 30.000 euro.

Cosa spinge ad andare in missione? Incoscienza? I soldi? Senso della patria?
Alberto non ha dubbi, senza esitazione risponde:
Abbiamo le stellette tatuate sulla pelle, siamo dei professionisti!
Ci si prepara nello specifico per la missione per più di un anno per andare a compiere il proprio lavoro. Niente di più, niente di meno.

La domanda successiva è un po’ più delicata, la butto lì e Alberto abbozza un sorriso di imbarazzo nel rispondere anche se poi anche in questo caso è abbastanza chiaro.
La domanda: Sei pronto ad uccidere una persona?

Noi siamo addestrati a non farci uccidere, non a uccidere. E’ una differenza forse sottile ma per noi fondamentale.

Come è la situazione in Afghanistan in questo momento? Dove sono gli italiani? Come sono visti dalla popolazione?

La situazione in Afghanistan non è molto diversa da quella che si vede in TV nei telegiornali e nei numerosi speciali come quello di Sky Tg24 o quello registrato da Massimo Giletti o ancora prima da Fabio Caressa. Gli italiani sono specializzati nel controllo del territorio. Siamo visti abbastanza bene dalla popolazione. Ci viene sempre fatto presente, in fase di addestramento, che la nostra presenza è quella di ospiti che devono avere il massimo rispetto per la cultura delle popolazioni del luogo.

Come vengono gestite le notizie tragiche provenienti dall’Afghanistan?
Non vengono affrontate in modo particolare di solito si risolve tutto in una chiacchierata oltre naturalmente all’analisi tecnica dell’accaduto per evitare che si ripeta.

Come sono le regole d’ingaggio? Vi sentite equipaggiati il giusto?
A questa domanda non posso assolutamente rispondere.

La pausa data da una risposta così perentoria anche se poi tra noi, con la promessa di non metterla per iscritto, qualcosa si dice, è utile per riempire nuovamente i bicchieri.

Se domani vincessi al SuperEnalotto partiresti ugualmente? Perché?
Adesso, a questa data, sicuramente si, partirei lo stesso.
Perché mi sono addestrato per tanto tempo, sono all’interno di una squadra dove gli altri commilitoni sono diventati per me come fratelli, con loro ho faticato, ho scherzato, ho condiviso momenti difficili e gioiosi e non riesco a pensare di sottrarmi ad una missione come questa per la quale sto per partire e non vale solo per me, se mancasse anche solo uno di coloro che si sono preparati con me sarei molto dispiaciuto.
E poi non vedo l’ora di vedere il Tricolore sventolare in una terra che non ci appartiene e che però andiamo a proteggere.

E’ guerra o missione di pace?
E’ una missione di pace, senza dubbio.
Il nostro compito, come ho detto prima è quello di garantire la pace controllando il territorio e fare in modo che le autorità locali assumano autorità e siano rispettate dalla popolazione.

Vi sentite tutelati dallo Stato o vi ritenete come carne da macello?
Anche in questo caso preferisco non rispondere.

Cosa pensi di chi in Italia manifesta e chiede il ritiro delle truppe?
In un certo senso li capisco, perlomeno sentendo le notizie che arrivano da quelle terre tutti i giorni. La missione però ormai deve andare avanti anche per rispetto di coloro che sono morti compiendo il proprio dovere (41 soldati italiani caduti nelle varie missioni in Afghanistan) e per fare in modo che il loro sacrificio non sia stato vano. A questo crediamo moltissimo.

E chi grida 10,100,1000 Nassyria?
Sinceramente a me, ma anche ad altri colleghi, non fanno né caldo né freddo, li consideriamo alla stregua di slogan di ultrà in uno stadio.

Vi sentite degli eroi?
Assolutamente no! Anzi (dice sorridendo) spero di non essere mai considerato un eroe perchè di solito significa che è successo qualcosa di brutto ma ci tengo, e tutti i miei colleghi ci tengono, ad essere considerato un professionista.

Come si arriva in Afghanistan dall’Italia e quanto dura la missione?
Non posso svelare tutti i particolari ma posso dire che i nostri bagagli personali partono prima di noi su container e arriveranno poche settimane dopo il nostro arrivo, per questo ciascuno di noi parte con uno zaino con l’occorrente per un mese di missione. In generale posso dire che arriveremo ad una base centrale e poi destinati con numeri differenti a seconda del luogo di destinazione e dalla complessità del servizio in basi dislocate sul territorio. Una volta lì si fa vita da trincea come quelle che si vedono nei film del genere. La missione in tutto dura sei mesi.

Da lì sarà possibile comunicare?
Sappiamo da chi c’è già stato che è possibile comunicare attraverso i telefoni cellulari e, anche se non sempre, attraverso una connessione internet.

Cosa non mancherà nel tuo bagaglio?

Naturalmente porterò anche qualche foto con me, qualche oggetto scaramantico anche se non sono molto attaccato a queste cose. Tuttavia so che per alcuni miei colleghi è molto importante avere con sé degli oggetti che aiutino a tenere vivo il ricordo della propria famiglia. Io ho questo cellulare, ho tutto qua dentro.

Alberto aggiunge, con un sorriso,

infine porterò con me un po’ di alcolici.

Possiamo dire ironizzando che si vede che anche nelle alte sfere dell’esercito è giunta voce che noi della redazione di Moschebianche siamo dei grandi bevitori di birra visto che Alberto gentilmente ce ne ha offerto un po’ ma niente che pregiudicasse la lucidità di intervistato e intervistatore.

Tu perché ci vai alla fin fine?
Prima di diventare militare avevo tre desideri.
Diventare soldato. Partire in missione e Rientrare dalla missione. Il primo l’ho esaudito, il secondo si sta per esaudire e il terzo speriamo bene.
Sarei ipocrita nel dire che i 30.000 euro che riceverò a fine missione non mi interessano, è ovvio che mi faranno molto comodo ma la mia vita, quella dei colleghi che partono im missione e quella di chiunque altro non vale 130 euro al giorno.
Un mio collega suole dire, a ragione, che per chi parte in missione pensando solo ai soldi (qualcuno c’è senz’altro) il tempo non passa mai. Il modo migliore per far trascorrere il tempo e tornare presto a casa è quello di compiere al meglio e con la massima concentrazione il proprio dovere ogni giorno.

Come ti immagini tornato a casa a fine missione?
Immagino che sarò molto tranquillo, che avrò tanto relax e sicuramente avrò acquisito più maturità. Chi ha già partecipato a missioni del genere è sicuro nel dire che si apprezzano molto di più le piccole cose, sembra una frase banale ma è proprio così. So’ benissimo che potrei anche non tornare o tornare ferito o mutilato senza contare la possibilità di contrarre malattie (a quanto si dice anche se io non ci credo molto) o con un esaurimento nervoso. E’ tutto messo in conto.

Al termine dell’intervista, quando ancora la schiuma non si è asciugata nei bicchieri, prima di andare via, faccio una domanda di rito:

C’è qualcosa che vorresti dire e che non ti ho chiesto?
Molti si chiedono cosa facciamo durante il giorno in caserma, qui in Italia, pensano che stiamo lì a bighellonare senza far nulla, pochi capiscono che il nostro lavoro, perché lo ripeto siamo dei professionisti, è finalizzato alla sicurezza dei cittadini, a fare in modo che quello che purtroppo succede in tante parti del mondo non accada anche nel nostro Paese e, nel caso malaugurato accadesse, ci siano persone in grado di difenderci.
Ricordo che nella missione recente che ho fatto per le strade di Roma voluta fortemente dal Ministero della Difesa in accordo con il Ministero dell’Interno per la sicurezza della città molti cittadini si spaventavano alla vista di uomini in mimetica proprio perché si è portati a pensare che il nostro compito sia riservato alle zone di guerra.

Facciamo gli auguri al partente tutt’altro che un energumeno con i muscoli pompati o un invasato della mitraglietta e ringraziamo del drink, diamo un rapido sguardo all’ultimo baule che ci viene mostrato da Alberto preparato con le sue mani per esser spedito in Afghanistan e lo lasciamo con un misto di ammirazione e altri interrogativi ai quali lui, anche volendo non può rispondere. Anche alla luce del detto e non detto, di quello che non abbiamo potuto scrivere, ci viene da pensare che sia coloro che demonizzano la partecipazione dei nostri soldati alle missioni all’estero quanto coloro che son pronti a gridare all’eroe quando uno di loro muore sul campo in fondo non capiscano sul serio le emozioni e le sensazioni di chi parte e dei familiari che restano.
Forse è proprio quest’ultima perplessità che ci da l’idea della solitudine del soldato, più di ogni prosopopea da salotto televisivo o da sbandierata arcobaleno.

La redazione (redattore)

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