Ovvero: L'imprevedibile ineluttabililità del parto Fin dalle prime battute della faccenda avremmo dovuto capirlo: gravidanza e parto sono un crescendo di "fuori controllo" che se per molte donne può risultare affascinante e magico, più si approssima l'ora fatale, più inizia a pesare e angosciare progressivamente quasi tutte. Dalla mia esperienza personale ho notato che il nocciolo del problema non consiste unicamente nel temere il dolore fisico, è qualcosa di molto più complesso che in gran parte risiede nella dinamica dell'evento stesso. ma in una certa misura è amplificato dal contesto sociale in cui ci troviamo.Sarà un cliché, ma è profondamente vero: abbiamo paura dell'ignoto, se poi è qualcosa di ineluttabile, peggio ancora. Sarà un accostamento "forte", ma in questo senso il parto può paragonarsi alla morte: non sappiamo il quando e il come, ma è un evento a cui non si sfugge. Questa condizione è immutabile: che si affronti un cesareo o un parto spontaneo, che si adotti l'epidurale o meno, l'ansia di "quel momento", di non poterlo controllare del tutto si insinua in ogni fibra della gestante nelle ultime settimane. Nemmeno il cesareo "elettivo" può eliminare del tutto la sensazione che ci possa capitare lo "scherzetto" prima (e d'altronde anche se rara, è un'opzione non così infrequente).Insomma, dobbiamo andare "incontro alla morte" per poter strappare al mondo una nuova vita. Tutte le donne provano, prima ancora di quello fisico, questo travaglio interiore che è una sorta di lenta agonia dell'ultimo mese. Il crescendo dei sintomi, dei falsi allarmi, degli acciacchi più o meno accentuati, delle pressioni continue dall'esterno ("allora, quando nasce?" *come se potessi risponderti.....!* ), del sonno sempre più difficoltoso, dell'autosufficienza che finisce alle ortiche (quale umiliazione per una trentenne rampante il faticare ad allacciarsi le scarpe da sola o a passare per le ante della doccia?!). Si finisce per concentrarsi istericamente su dettagli insignificanti (tipo trolley rigido o borsone da palestra in ospedale?) per sfuggire a QUEL pensiero. Insomma, tutto contribuisce a sentirsi una via di mezzo tra un neonato fragile come un cristallo e un novantenne sull'orlo della fossa. L'umore poi, oscilla come un pendolo impazzito tra la smania di stringere finalmente il frutto di nove mesi di fatiche e il terrore di ciò che lo accompagna e precede. Questo scenario è stato e sarà tale fino alla consumazione dei secoli: è parte fondamentale del processo di nascita, del figlio quanto della madre. Il tutto contribuisce ad esasperare a tal punto la malcapitata, che il cesareo programmato (un tempo opzione non contemplata) finisce per sembrare alquanto allettante. Molte trovano un conforto persino smodato nell'idea di poter "avere una data" da segnare sul calendario, poter indicare ai rompiscatole di turno e magari prenotare l'estetista, il parrucchiere o le visite dei genitori lontani A questa "capitolazione" mentale contribuisce in maniera determinante lo stile di vita attuale che, lungi dall'assecondare e favorire un meccanismo così straordinario ma avvolto da un "velo" misterioso che supera i parametri della quotidianità, lo ostacola fortemente, perché le donne oggi sono assuefatte ad una certa dispersione di forze. Soldati su troppi fronti in contemporanea, esposte al tiro incrociato e perennemente di corsa tra mille ruoli e incombenze di difficile (quando non impossibile) conciliazione. E lo chiamano multitasking, così pare qualcosa di figo e innovativo, io lo chiamerei col suo nome: schiavismo mascherato da libertà. Siamo libere di "scegliere" su inezie: le vere scelte che segnano le tappe fondamentali di un'esistenza oggi sono diventate lussi. La stessa maternità viene considerata tale: chi fa figli è perché "può permetterselo", spesso guardata con ostilità da chi ha messo questo aspetto in secondo piano. Non è un caso che la stragrande maggioranza delle madri sperimenti sulla propria pelle un simile, malcelato ostracismo proveniente PROPRIO dalle altre donne: dall'ambiente di lavoro, alle file per le analisi. Ecco che allora diventa fondamentale creare un esprit opposto: una rete femminile che si sostiene, si passa informazioni, si emoziona con noi in questo momento così cruciale. Invece di vagare sul web cercando compulsivamente le parole chiave "sintomi inizio travaglio" o "percentuali di induzione al primo parto" (l'ho fatto anche io eh...!), meglio cercare la condivisione delle nostre paure con altre mamme come noi che vivono la stessa altalena di emozioni, in un abbraccio reale (e se non è possibile ben venga quello virtuale!) che lenisce, che accompagna e infonde coraggio. Così equipaggiate, andremo incontro all'ora fatidica con meno ansia e più fiducia. Un'analgesia psicologica che vale più di tante anestesie chimiche, provare per credere!