Il dato più sorprendente è l'aderenza di Willem Dafoe al suo personaggio. La sovrapposizione dei tratti in alcuni momenti è sorprendente, sebbene l'inevitabilità del doppiaggio toglie un po' di realismo e di verità a questa interpretazione.
In generale, lo sguardo sull'Italia e gli italiani, in particolare su Roma e i romani, risente - non sempre positivamente - di un punto di vista sicuramente informato e attento, ma in qualche modo estraneo ad un certo ambiente culturale non facile da comprendere.
Il film ha una sua coerenza e compattezza apprezzabili: racconta infatti le ultime 24 ore della vita di Pier Paolo Pasolini, dalla sera precedente - durante la quale Pasolini si trovava a Stoccolma per un'intervista - alla sera maledetta dell'omicidio. Nel mentre emerge la vita quotidiana dello scrittore, i suoi rapporti familiari, i suoi progetti cinematografici e di scrittura, la sua personalità complessa.
Dal mio punto di vista ciò che resta debole nel film è la difficoltà di identificare un audience.
Per chi come me di Pasolini sa pochissimo il film non è d'aiuto per capire davvero di più dell'uomo e dell'intellettuale. Si resta in qualche modo estranei alla densità del suo lavoro, alla rete articolata delle sue riflessioni, ai significati della sua complessità.
Per chi di Pasolini sa già molto il film non aggiunge - credo - nulla di più, non apre prospettive nuove.
Forse Abel Ferrara si rivolge primariamente a un pubblico non italiano, portando in primo piano una figura che probabilmente fuori dall'Italia non è così fortemente radicata nell'immaginario collettivo, al fine di suscitare curiosità e farne apprezzare la modernità e un pensiero che va ben al di là delle vicende italiane di quegli anni.
Ciò detto, quella di Ferrara mi pare un'operazione non del tutto compiuta.
Voto: 3/5