Pubblicato da giovanniag su aprile 8, 2012
di Guglielmo Spirito
Il giovedì santo la chiesa aveva posto a suggello della celebrazione del triduo pasquale l’affermazione del vangelo di Giovanni: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Certamente non vuol significare solo che Gesù starà fedele al suo amore fino alla morte, ma più precisamente che va incontro alla morte perché si sveli in tutto il suo splendore l’amore che lo muove rispetto al Padre e a tutti noi. Nella stessa celebrazione, con l’istituzione dell’eucaristia e la lavanda dei piedi, l’amore era definito nel suo mistero di dono (“questo è il mio corpo, che è per voi”) e di servizio (“Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”). La posta in gioco è ‘aver parte con lui’. Accogliere il servizio di Gesù e non praticarlo al fratello significa non riconoscere quel ‘corpo, che è per noi’, tanto il mistero dell’amore parla di Dio e dell’uomo insieme.
È lo stesso Gesù a svelarne la ragione profonda: “… viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco” (Gv 14,31). L’espressione ‘contro di me non può nulla’ andrebbe resa letteralmente: “in me non ha nulla”. La sottolineatura non riguarda la forza di Gesù, ma l’innocenza, la sua pura comunione con il Padre e con gli uomini, la sua imprendibilità all’illusione demoniaca per cui non viene meno all’amore proprio quando è calpestato. Qui si comprende il dramma della debolezza di Dio più forte della forza degli uomini. Per avvicinare i cuori degli uomini Dio ha messo da parte la sua potenza preferendo la debolezza (cf. Fil 2,8 ). La debolezza di Dio non svela solo l’immensità dell’amore suo per l’uomo, ma pure il desiderio profondo dell’uomo, il bisogno dell’uomo per essere tale, compiuto nella sua umanità. E il mistero scaturisce proprio qui: l’uomo, per scoprire la sua umanità, non può non guardare a questa debolezza di Dio. Tutto ciò che è fuori da tale debolezza, risulterà illusione e causerà ulteriore sofferenza, ma sorda, tragica, insensata, che porterà divisione e non comunione, che porterà rabbia e non riposo.
La celebrazione della passione del Signore ha rivelato l’intimità e la tenacia dell’amore di Gesù per gli uomini colte nel mistero della sua obbedienza al Padre. L’obbedienza del Figlio di Dio, che non gli ha fatto preferire nulla a noi, nemmeno la sua gloria divina, in ciò condividendo con il Padre e lo Spirito Santo la passione d’amore per noi uomini, suoi figli, induce noi a non preferire nulla a Lui, e in ciò condividendo la sua obbedienza all’amore senza ricercare altra contropartita. Di qui scaturisce quella salvezza che risana i cuori e li abilita alla vita in Dio, alla vita non più soggetta alla morte, cioè non più dominata da tutto ciò che attiene alla morte, causata dall’accoglimento dell’illusione demoniaca.
Il mistero dell’amore, però, per quanto desiderabile, non è affatto scontato. Senza il sigillo della risurrezione di Gesù non sarebbe stato colto e non avrebbe potuto essere immesso nel mondo. Le donne, i discepoli, la domenica di Pasqua, attendono o corrono al sepolcro per trovare un morto; l’unico orizzonte possibile è avere il corpo del loro amato Signore. Se l’esperienza della risurrezione di Gesù era del tutto inconcepibile per i discepoli, ciò significa che anche l’esperienza del suo amore sino alla fine non poteva essere colto.
Il primo giorno, il giorno uno della settimana, dischiude un tempo completamente diverso, un tempo nel quale tutto ciò che è stato compiuto fino ad ora si rivela come novità. Il primo personaggio che ci conduce alla soglia di questa novità è Maria Maddalena. A differenza dei sinottici, Giovanni non aveva menzionato per la circostanza della sepoltura la presenza delle donne. La mistura di mirra e aloe era stata portata da Nicodemo e Giuseppe di Arimatea. I sinottici narrano dell’arrivo al sepolcro, all’alba, delle donne con gli oli per completare l’unzione del corpo di Gesù. Giovanni sorvola su tutto questo. Parla solo di Maria Maddalena e l’accento è posto sulla motivazione profonda, interiore, della sua presenza al sepolcro. Essa vive un’angoscia personale, un sentimento di assenza irrimediabile; per lei oramai il Signore è l’Assente; non può sentirlo che così. Per prima vede la pietra del sepolcro tolta via e corre ad avvertire i discepoli: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto”. Dall’angoscia dell’assenza passa all’angoscia dell’incertezza. Ma Giovanni parla della pietra tolta via dal sepolcro per sottolineare, in questo Giorno della Risurrezione, che viene tolto l’ultimo impedimento alla ‘vista’, alla ‘visione’, come poi il brano dirà a proposito di Giovanni entrato nel sepolcro.
L’episodio dei due discepoli che corrono al sepolcro lo conferma in una tensione crescente per giungere, alla fine, alle straordinarie parole: “Allora entrò anche l’altro discepolo… e vide e credette”. È come una richiesta che viene sussurrata al cuore dei possibili lettori del vangelo, la richiesta di avanzare nella conoscenza del mistero, di salire fino all’intelligenza della risurrezione che viene svelata poco a poco: “Vide e credette”.
La letizia pasquale che, poco a poco, invade e conquista i discepoli e che scaturisce dall’esperienza dell’incontro con lui, vivo, capace di far vincere ogni paura, ha anche a che fare con i tre doni che Gesù conferisce: la gioia, la pace e la libertà. Ma se andiamo a vedere, quei tre doni, tipicamente pasquali, uniti all’esperienza dell’incontro con lui, il Vivente, ci partecipano la sua stessa vita e ci consentono di vivere come lui, vale a dire ci porteranno a poter dire di noi: “e lo amarono sino alla fine’, ‘amarono i loro fratelli sino alla fine’. L’augurio pasquale più bello!
Comunque sia spiegato l’evento, è chiaro che la risurrezione di Gesù era del tutto inconcepibile per i suoi discepoli. L’esperienza della tomba vuota situa ormai l’intelligenza del mistero di Dio in una luce assolutamente particolare e apre all’uomo l’accesso di un tempo eterno in cui situare la storia e gli eventi, attraversati così dallo splendore del corpo glorioso di Cristo, in attesa che quello splendore riempia gli occhi e investa il cuore.
L’augurio della gioia pasquale allude proprio al dono di quella luce che inonda gli occhi e il cuore per farci vivere nella presenza del Signore che ci trascina nel regno del Padre suo.
Il Signore è risorto! È davvero risorto!