Prima di andare a scuola, E. lascia sempre nel mio studio il pupazzo di peluche di un cane. Si chiama Pasqualino e serve a tenermi compagnia. E. dice che ogni tanto devo dargli una grattatina sotto il mento e lui se ne starà buono e felice a guardarmi mentre lavoro al computer. Non devo dimenticare però di portarlo in cucina all’ora di pranzo, altrimenti potrebbe rimanerci male. E io, come uno stupido, lo faccio veramente. Non dico la grattatina, ma tenerlo in studio e anche in cucina, mentre mangio. Perché lui non è semplicemente Pasqualino, ma mia figlia che riesce, ubiquamente, a essere a scuola, ma anche dentro di lui. Non è un pezzo di stoffa e cotone che mi guarda e mi parla nella mente, è mia figlia, la sua personalità, la sua creatività, la sua fantasia. Riesco a sentirla realmente in quel pupazzo che mi guarda fisso con gli occhi lucidi e un buffo cravattino. È lei che si trova al mio fianco e credo che, reciprocamente, anche lei si senta più felice a scuola sapendo che ho vicino uno fra i suoi migliori amici.