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PASSA IL BONZO DA LONTANO (poesie di Luciano Troisio dalla silloge “Strawberry-stop”)

Creato il 20 luglio 2011 da Viadellebelledonne

PASSA IL BONZO DA LONTANO (poesie di Luciano Troisio dalla silloge “Strawberry-stop”)

In calce a questo mini-paragrafo introduttivo, propongo alcune poesie di Luciano Troisio, tratte dal volume di versi Strawberry-stop (LietoColle, Faloppio, 2008); quattro le ho trascritte per intero, dell’ultima riporto invece una serie di stralci. Mi auguro che tutte possano adeguatamente esemplificare quanto ho già detto, nel mio breve post d’inizio luglio, circa l’autore sunnominato e lo stile di sue due pubblicazioni abbastanza recenti, che si rivelano entrambe incentrate sul tema del viaggio: mi riferisco a Strawberry-stop, per l’appunto, e al diario (con “inflessioni” narrative) Nuvole di drago.

Pietro Pancamo

 

 

 

 

PASSA IL BONZO DA LONTANO

 

 

Passa il bonzo con la tonaca amaranto e bordò

lo vedo dall’alto da lontano attraversare un prato

di erratici neri massi costellato

che stupirebbero uno scultore non figurativo

sul sentiero che risale verso la casa

dove credo si rechi a elemosinare secondo l’uso

ogni mattina verso le nove e mezza.

Lo seguo durante il breakfast dalla terrazza

della mia Guest-House Mealy Chenda

che digrada alta sul Golfo del Siam

con una straordinaria vista

(ma con pessimo udito perché

i camerieri buzzurri urlano e sghignazzano

indifferenti al fatto di infastidire

i nobili vecchiotti clienti stranieri che pagano il quadruplo

e vorrebbero almeno godere della visione del mare

con camerieri non dico fuori campo

ma almeno, diamine

fuori onda).

Prima che l’omelette si raffreddi

e il monaco sparisca tra lussuosi alberi

mi affretto a descrivere il parasole

che rallegra la solitaria mattina esotica,

con esso l’umile bonzo si ripara

è un grande comune ombrello da uomo

ma di colore giallo caldo che

ha un effetto straordinario

per l’elegante spontanea armonia

con la tonaca e ricorda tanti altri passaggi

di monaci singoli in gruppo frettolosi scalzi

lontani, contro sole, rapati, in strade polverose

qualche mattina perfino con un po’ di nebbia

a Phnum Pénh, Ayudhya, Kathmandu, Leh, Polonnarua

con tuniche ombrelli recipienti per il riso bisacce

di infinite sfumature armoniche di un’astratta

gamma straordinaria allegra severa

che anche Burri apprezzerebbe.

Mi sono sempre ripromesso di documentarle,

ne ho distrattamente filmato alcune

sono tinte di tale bellezza da rimanere

nell’intimo ineffabili (nonostante

la commistione delle immagini)

inespungibili nel data-base.

LA PASSERELLA DEI DIFFORMI

Bighellonare nei bei posti, nei lungofiume

passata la calura verso sera

le ombre si allungano

le barche sono quasi immobili nel Mekong

(là dove riceve il grande affluente Tonle Sap),

straordinariamente calme,

delibate nel paesaggio raffinato

policromo.

Ma ovunque un elemento stride:

ad es. ora un giovane khmer

insegue una ragazza indigena

che si accompagna a un vecchio bianco

forse una prostituta (ma non è detto, non si può

affatto escludere a priori che tra loro

non ci possa essere anche una briciola

di lealtà sentimento, eppure)

il giovane gagliardo non rinuncia alla presa pubblica

nel dehors dell’elegante bar River Side

dalle enormi poltrone di vimini all’incrocio

sul quieto lungofiume di Phnum Pénh,

è insistente e il suo messaggio significa:

anche tu sfrutti godi di lui quindi sei come me,

mi spetta di diritto la mia parte di godimento,

e alla fine per non creare ulteriore imbarazzo

forse imbeccata dal vecchio

– ambedue appaiono corretti educati dignitosi –

la ragazza estrae una banconota per liberarsi

(ma da che cosa,

da chi si svincola veramente quella ragazza?)

Mendicanti vengono a esibire carrozzelle di deformi

mutilati o bambini strazianti che possono camminare

hanno teste enormi mostruose

altri con segni di malattie terribili

miti ridenti di buon animo.

[Noi cinici obesi cardiopatici che conosciamo Calcutta

non ci agitiamo per nulla

essendo sotto il controllo di betabloccanti

per non morire subito].

È probabile che nessuno li aiuti,

ci ricordano che non possono essere

eliminati dalle nostre eleganti istantanee

come invece vorremmo

[anche noi crediamo di aver eliminato i nostri difformi

li abbiamo esclusi dai paesaggi

e quelle volte che per caso li incontriamo

ci infastidisce il solo fatto che esistano

perché li abbiamo diretti alla loro emarginazione

interfacciano con equa condizione

quell’incontro ci agita di nuovo di fronte a rifiuti

a nefande chiusure su cui in seguito abbiamo ben costruito,

che eravamo certi di aver sistemato].

Siamo stati costretti a gustare i filetti

nei simpatici dehors fioriti

mentre dal marciapiede

una decina di lebbrosi non cessava di implorare.

Le nostre amiche così sensibili hanno preferito

sedere dando loro le spalle mentre noi

opposti rozzoni abbiamo sostenuto gli sguardi

gentili assieme agli altri travalicanti.

Si sa che i normali accompagnatori

li prendono in affitto perché rendono bene,

che a loro non resta nulla nemmeno del dollaro

che diamo per nostra [quasi]

identica disperazione.

SULL’ESPANSIONE

Durante i viaggi lunghi,

di almeno due mesi,

si spera disperatamente che

le fatiche gli strapazzi

facciano perdere peso.

Non che si possano seguire diete

perché si rischia di indebolirsi

e infatti a volte gira la testa non solo

per la sindrome di Stendhal

(di cui però si soffre soprattutto nel Bel Paese;

lo scrivente,

che ne era gravemente afflitto,

a lungo vivendo in certe zotiche nazioni

ricche di rape, slivoviz, cotenne di porco e paprica,

che per gentilezza non nomina,

è completamente guarito almeno da questa)

ma proprio per la fatica per le molte ore

in battello, in bus, su e giù per argini terrosi

con logistica a carico, frontiere stressanti

stradacce tutte buche,

alzatacce,

così, pur mangiando poco, sudando

e camminando molto succede che

il volto smagrisce in sinergia con l’odiata vecchiaia

anche le gambe dimagriscono

è tipico del maschio

le amiche megapigie per questo aspetto ci invidiano

ma non cala

affatto il giro vita

(anzi: la panza

si è espansa).

INIZIO DELLA SENSAZIONE DI MALESSERE

La sensazione di malessere

giunge inaspettata

non ha apparenti cause

c’è un istante

nettamente identificabile in cui

uno si dice: da questo dolciastro momento

comincio a star male,

non sa spiegarsi perché

e naturalmente

la prima cosa è agitarsi

il che comporta un ulteriore

aggravamento dei sintomi

in sinergia con tutto

ciò che è negativo.

Qui si ha la prova di come

l’umano sia composto

anche di una parte immateriale

sopita al di là

degli interruttori e dei campanelli

paese interno ignoto

che si manifesta nel massimo dei suoi

considerevoli poteri e viene

a complicare a moltiplicare il panico

il terrore della fine

(che però è fisiologica)

con aumento della salivazione,

del battito.

Sarebbe augurabile avere vicino altri esseri umani ma

nelle società civili al vecchio questo raramente è concesso

e deve quindi imparare da subito

a controllarsi a gestire

in solitudine l’attraversamento

della frontiera

verso la silenziosa nevicata

degli asfodeli senza peso.

LETTERA ALLA PSICHIATRA

“Cara Maria,

tutto come prima

solo che, come nella barzelletta,

(me la faccio ancora addosso ma)

non mi preoccupo più di nulla…”

[...]

Devo ammettere che queste gocce

potrebbero avere non poco influito

sulla mia felicità

nello scrivere durante il viaggio.

Stamattina [...]

durante l’evento del breakfast non incluso

che comprendeva una stupenda

baguette diversamente lunga,

calda croccante per 2000 dong

[...]

ex abrupto mi è scappato di prendere appunti

sull’agenda Antonveneta d’emergenza da cui mai mi separo,

quindi: appurato che con 7 dollari si può visitare

(english speaking guide) l’intera città proibita

e imperiale di Hue,

[anticipo trattarsi di banale recente invenzione,

da splendida operetta realizzata dai francesi nel tardo 800

mentre i grulli itali geometri

in viaggio col Cral sono convinti

che le sculture dei mandarini dei cavalli e degli elefanti

risalgano al 400, poverini perché disilluderli?]

nonché fare il giro in barca sul Fiume Profumato

(il poetico nome deriva da certe piante officinali,

temo ora estinte,

che crescevano sulle sponde)

per poi scendere ai vari approdi,

ogni volta prendere in affitto una diversa prezzolata moto

scapicollarsi per sentieri nefandi

al fine di perlustrare alcune lontanissime tombe imperiali

mi chiedo se ne valga la pena,

dottoressa che non rispondi,

invece di uscire per vedere questo fantasma di città

dissuaso per la verità

da un’afa davvero insopportabile,

sono rientrato alla mia fredda stanza

e ho scritto (forse) la più bella, finora, pagina del viaggio.

Esprimo gratitudine alla Multinazionale Farmaceutica.

Mi sto orientando a credere che sia

la mia sottile malattia

a costringere l’ascosa bravura

a rimanere inespressa.

[Preoccupazione del giorno: le gocce stanno per finire.

E poi?

Cesserà la bravura.

(E che sarà di noi?)]

Ex docente di atenei come ad esempio quelli di Padova, Pechino, Shanghai, Bratislava, Lubiana e Melbourne, nonché globe-trotter di professione che dal 1975 peregrina per l’Asia allo scopo di stendere diari o reportage, il poeta, novelliere e giornalista Luciano Troisio ha dato alle stampe numerosi volumi fra i quali – oltre a Viaggio a Ko Ciang (ilverri, Milano, 2001),  Strawberry-stop (LietoColle, Faloppio, 2008) e Nuvole di drago (Edizioni Il Foglio, Piombino, 2009) – spiccano senza dubbio sia Tirtagangga e varie sorgenti (1999) che Parnaso d’Oriente (2004), entrambi usciti a Venezia per i tipi della Marsilio Editori.



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