Passekudah

Creato il 26 marzo 2015 da Cristina

Randagia nel mondo

Passekudah fai da te - 8/9 agosto

8/8

Mi alzo prestissimo, verso le 7, carico a spalle il bagaglio e mi incammino a piedi verso Passekudah, percorrendo un po’ più di un km.

Le pensioni più economiche si trovano ad inizio paese, ad un incrocio c’è una specie di parcheggio tuk tuk, i guidatori cercano subito di mandarmi verso Monya Guesthouse, che in effetti dovrebbe essere economica, ma temo per la commissione e quindi mi dirigo dalla parte opposta, dove si erge una costruzione abbastaza elegante, il Passi Bay Hotel, ampi finestroni e tende bianche, lo salto (in effetti scoprirò che una stanza costa 6000 LKR). Subito dopo c’è un palmeto con bungalows che attira la mia attenzione, è l’Inn on the Bay.

Mi offrono una capanna di legno e tetto di foglie a 1500 LKR, con bagno annesso, ma esterno, alla maldiviana, per intenderci.

La costruzione è ovviamente molto semplice, ma pulita, le lenzuola infatti hanno un buon odore, e quindi dò conferma per un paio di notti.

Sinora ho girato come una trottola mi sembra giunta l’ora di riposare. L’Inn on the Bay è stata la prima pensione di Passekudah. Lascio i bagagli in stanza e mi dirigo in spiaggia, dapprima verso est, passando davanti al Roy’s Inn e ai tuk tukkari che mi ignorano. Raggiungo una bella distesa di spiaggia dorata, deserta, punteggiata qua e là da colorate barche in legno, sono le 8 del mattino, sole basso all’orizzone, e sciabolate di luce calda e bassa che acceca. Palme in lontananza.

Andando invece a ovest tenendo come punto di riferimento l’Inn on the Bay si va invece verso l’azione. Un grosso spazio sabbioso adibito a parcheggio, dove frotte di bus e tuk tuk scaricano bagnanti per la gita del giorno.

Baracchini di legno espongono giocattoli e dolci. In uno di questi, un ragazzo sta preparando del chapati per colazione.

Vengo invitata a sedere all’interno, dove sembra un po’ di stare in un pollaio, ed ordino thè e dolcetti. Hanno una specie di brioche che ricorda un po’ il pan dolce di Susa, 50 LKR, mi offrono anche un piattino di banane. Passano dei turisti mattinieri diretti ai resorts, si avvicinano curiosi ma squadrano il botteghino con orrore, e me come se fossi una portatrice sana di colera. Nei due giorni che trascorrerò qui non vedrò mai, e dico mai, nessun bianco fermarsi qui a mangiare. Al negozietto a fianco compro delle specie di croccanti di arachidi, una prelibatezza (50 LKR). Cammino lungo la spiaggia diretta a ovest, nella zona dove ci sono hotel di lusso, e cantieri in costruzione.

Alcune persone del posto mi riferiranno con gli occhi quasi fuori dalle orbite il prezzo per notte: 22mila LKR, ossia sui 120 Euro. Per loro sono cifre che vanno al di là della umana comprensione, io una cifra simile giornaliera non la spenderei neppure in Polinesia. Proseguendo la spiaggia si restringe, e si espone ai venti, il fondale è molto basso, e l’ondina increspata.

Alcune coppie di turisti si riparano sotto le poche palme, io non riesco a trovare ombra, e quindi rientro verso il centro, al baracchino della colazione, dove consumo pranzo (samosas, thè e acqua da 1.5 lt, 150 LKR), e mi sistemo nella zona affollata dai locali, l’unica dove ci siano palme. Rimango vestita, per non attrarre sguardi indesirati, più che per rispetto alle usanze locali. Nessuna delle donne che mi circondano è infatti in costume. Preciso invece che nel tratto di spiaggia davanti ai resorts che ho percorso la mattina ero svestita e nessuno mi ha dato noia.

L’abbigliamento femminile varia dal sari allo shalwar cameez, per arrivare al pastrano nero con tanto di chador che indossano le signore mussulmane più osservanti, chissà che caldo devono avere!

Noto la folla che si muove in acqua, quasi nessuno sa nuotare. Per fortuna la baia è riparata, l’acqua è calma e digrada dolcemente. Peccato io non ami particolarmente nuotare imbrigliata in bermuda e maglietta, perché qui è veramente una pacchia, anche se l’acqua non è trasparentissima.

Presto il cielo si oscura e viene a piovere, per cui mi rintano nel mio bungalow, in compagnia di cani, pavoncelle e in seguito anche grosse scimmie.

Queste non sono particolarmente invadenti, infatti, pensando che non ce ne fossero, ho lasciato tutta la mattina in veranda dei vestiti appesi ad asciugare, e non mi hanno fatto nessun dispetto.

All’ora di cena il quadro è desolante. Sebbene non particolarmente attraente, il ristorante del Inn on the Bay, con il suo tetto di foglie e le lucine colorate è una delle due alternative ai resorts, la più gettonata, l’altra è il buffet del Passi Bay hotel, dove però non c’è nessuno. All’Inn on the Bay sono invece costretti a mandar via la gente, per via dei pochi tavoli e del servizio non proprio celere.

A me era stato detto che se volevo cenare da loro dovevo prenotarmi ore prima, cosa che ho fatto, specificando ora e anche già cosa volevo mangiare. Nonostante questo, aspetto per oltre mezz’ora. Le recensioni non sono male, io però non sono rimasta soddisfatta, il pesce era pieno di lische e molte parti erano scarti, tipo testa, ed il riso era poco, rispetto alla montagna che danno nei dhaba.

Ne ho chiesto altro e volevano farmelo pagare, che rabbini, così ho rinunciato. Per un pasto scarso ho speso la bellezza di 590 LKR

9/8

100 LKR a colazione al solito baracchino (3 brioches ed un thè), mi informano che preparano rice and curry e ci torno a pranzo (130 LKR). Cena da Inn on the Bay (390 LKR)

Giornata trascorsa in spiaggia, tempo bello al mattino, nuvoloso al pomeriggio. Meno male che questa è la stagione migliore per il lato est dell’isola.. Approfittando del brutto tempo passo parte del pomeriggio a parlare con gente del posto, cercando di capire come arrivare alla fermata del bus di Valachchennai Junction spendendo meno possibile. Mi confermano che non ci sono bus, il che mi pare bizzarro, dato che ne ho visti ovunque. Mi accordo con un tuk tuk. L’autista mi dice che ci sono bus diretti per Jaffna, e non è neppure necessario cambiare a Vavuniya.

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