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Passera: aprire la gestione dei beni culturali al non profit

Creato il 01 settembre 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

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Per il leader di Italia Unica la chiave della tutela del patrimonio culturale è nella sua valorizzazione

L’appello per una rivalutazione dei beni culturali lanciato da Roberto Grossi, presidente di Federculture (vedi l’articolo “Cultura, più coraggio da parte del Governo”), presenta molti punti in comune con la visione delineata da Corrado Passera e contenuta nel programma di Italia Unica. Ne evidenziamo alcuni aspetti, perché riteniamo che possano costituire una strategia vincente per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano.

Le affinità sono ravvisabili in particolare in quella che Grossi indica come la necessità di “puntare su una vera autonomia gestionale” per un’offerta culturale più moderna ed efficiente, semplificando le procedure e sostenendo l’affidamento dei servizi pubblici locali a fondazioni ed enti autonomi.

I beni, afferma Passera sul suo libro Io siamo, non vanno solo tutelati, ma anche “promossi affinché possano produrre valore e diventino una risorsa di sviluppo”, così come accade in Paesi che non possono vantare le nostre stesse risorse culturali. Questi due processi non devono essere intesi come separati, perché “la valorizzazione è ciò che spesso rende possibile una tutela migliore: è più facile proteggere un bene, un sito archeologico, un grande museo che attira visitatori ed è una fonte di ricchezza per una comunità”.

Il problema è che in Italia non è così: generalmente la tutela è affidata allo Stato e la valorizzazione agli enti locali. Ma “poiché ciascuna delle due amministrazioni governa solo una parte del processo complessivo, nessuno si prende la responsabilità di agire, e a vincere è l’immobilismo”.

Il primo indispensabile passo da fare, sostiene il fondatore di Italia Unica, è ricomporre le due metà, tenendo sempre presente che “regole e controlli sulla effettiva tutela devono restare in mano pubblica mentre, per tutto il resto, ci può essere spazio anche per il privato”. In accordo con la visione profilata da Grossi (“lo Stato deve dunque fare un passo indietro rispetto alla gestione diretta, magari affidando a soggetti privati, anche non profit, la gestione di musei e siti minori che non riesce a valorizzare”), per Passera il privato che “potrebbe e dovrebbe partecipare alla gestione dei beni culturali è soprattutto il privato non profit”.

Il discorso è valido in particolare per i grandi musei, organizzazioni molto complesse che rispondono a logiche burocratiche mentre avrebbero bisogno di maggiore libertà d’azione: tutte le loro esigenze richiedono strutture più moderne e “vera dignità organizzativa e giuridica”.

Non è tutto: Passera allarga il discorso, affermando che, inquadrato in una visione d’insieme, il bene culturale “deve essere concepito come l’elemento chiave intorno a cui ruota un intero territorio, innervato da un efficiente sistema di trasporti, con una rete di accoglienza moderna e capace di valorizzare le unicità che lo contraddistinguono, a partire dalla cultura artigiana locale”. Non può essere una cattedrale nel deserto, anzi, come è stato finora nel caso di Pompei, “una cattedrale in rovina nel deserto”. Solo in questo modo sarà possibile rendere la cultura un effettivo fattore promotore di sviluppo.

MC

 


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