(La funzione del credito)
“Le osservazioni generali, che abbiamo avuto occasione di fare finora trattando del credito, sono le seguenti:
I. [………]
II [………]
III. Formazione di società per azioni. Donde:
1. [……..]
2. [……..]
3. Trasformazione del capitalista realmente operante in semplice dirigente, amministratore di capitale altrui, e dei proprietari di capitale in puri e semplici proprietari, puri e semplici capitalisti monetari. Anche quando i dividendi che essi ricevono comprendono l’interesse e il guadagno d’imprenditore, ossia il profitto totale (poiché lo stipendio del dirigente è o dovrebbe essere semplice salario di un certo tipo di lavoro qualificato, il cui prezzo sul mercato è regolato come quello di qualsiasi altro lavoro), questo profitto totale è intascato unicamente a titolo d’interesse, ossia un semplice indennizzo della proprietà del capitale, proprietà che ora è, nel reale processo di riproduzione, così separata dalla funzione del capitale come, nella persona del dirigente, questa funzione è separata dalla proprietà del capitale. In queste condizioni il profitto (e non più soltanto quella parte del profitto, l’interesse, che trae la sua giustificazione dal profitto di chi prende a prestito) si presenta come semplice appropriazione di plusvalore altrui, risultante dalla trasformazione dei mezzi di produzione in capitale, ossia dalla loro estraniazione rispetto ai produttori effettivi, dal loro contrapporsi come proprietà altrui a tutti gli individui realmente attivi nella produzione, dal dirigente all’ultimo giornaliero [corsivo e grassetto miei; in certe traduzioni ricordo anche “dall’ingegnere all’ultimo manovale”]. Nelle società per azioni la funzione è separata dalla proprietà del capitale e per conseguenza anche il lavoro è completamente separato dalla proprietà dei mezzi di produzione e dal plusvalore [corsivo e grassetto miei]. Questo risultato del massimo sviluppo della produzione capitalistica [massimo fino a quando questo testo fu scritto in appunti, negli anni ’60 dell’800; nota mia] è un momento necessario di transizione per la ritrasformazione del capitale in proprietà dei produttori, non più però come proprietà privata di singoli produttori [come erano gli artigiani precapitalistici; nota mia], ma come proprietà di essi in quanto associati, come proprietà sociale immediata. E inoltre è momento di transizione per la trasformazione di tutte le funzioni, che nel processo di riproduzione sono ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei produttori associati, in funzioni sociali [corsivo e grassetto miei].
[……………………………………………………………………………………..]
Questo significa la soppressione del modo di produzione capitalistico nell’ambito dello stesso modo di produzione capitalistico, quindi è una contraddizione che si distrugge da se stessa, che prima facie si presenta come semplice momento di transizione verso una nuova forma di produzione [corsivo mio]. Essa si presenta poi come tale anche all’apparenza. In certe sfere stabilisce il monopolio e richiede quindi l’intervento dello Stato. […….]”.
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Discorso che mi sembra estremamente chiaro e non bisognoso di molti commenti per quel che significa. Certamente Marx scrive (appunti poi sistemati da Engels) un secolo e mezzo fa. E mi sembra presentare alcuni momenti di modernità. Tuttavia, ha in testa il capitalismo borghese, nato da quello mercantile e che presenta varie commistioni con elementi delle tradizioni, cultura, mentalità, della società precedente, in mano alla nobiltà. Ad un certo punto, almeno nella traduzione, salta fuori il nome di imprenditore, ma Marx non ha nozione dell’impresa come si andrà configurando già a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, e che vedrà soprattutto il fiorire novecentesco del capitalismo statunitense, quello definito assai più tardi (1941) da Burnham capitalismo manageriale. Quel capitalismo che per il momento ho definito, dopo un paio di decenni di studio, formazione sociale degli strateghi (funzionari) del capitale.
In Marx il fulcro dell’impresa è in realtà l’opificio industriale, sede del processo lavorativo in quanto processo di trasformazione da materia prima a prodotto finito (di consumo: individuale o come macchina e complesso strumentale da impiegare in ulteriori processi trasformativi). Egli prende dunque in considerazione soltanto il dirigente di fabbrica, quello che poi verrà indicato dal marxismo successivo, ivi compreso Lenin, quale “specialista borghese”. Marx, insomma, attribuisce chiaramente al dirigente in oggetto, nella prima fase del capitalismo, la proprietà dei mezzi di produzione (lo farà anche nelle Glosse a Wagner, testo del 1875); questi diventerà poi, in specie con la formazione della società per azioni, un lavoratore salariato a tutti gli effetti, separato da detta proprietà (dal capitale); e a tutti gli effetti verrà a far parte dei “produttori associati”, cui spetterà ormai l’esecuzione dell’intero processo produttivo mentre il capitalista resterà mero proprietario (azionista) e percettore di interesse (il dividendo azionario).
“Qui casca il palco” (del marxismo). E qui è iniziata tutta la mia opera di revisione per eliminare quella centralità della proprietà, ormai assurda. Si tratta di quella privata, di quella di cui parla Marx. Non cambia proprio un gran che con quella statale. Questa è anzi ancora peggiore; dà vita ad un ceto di “burocrati” totalmente staccati da ogni capacità che invece Marx supponeva essere quella dei produttori associati, “dal dirigente all’ultimo giornaliero”! Marx scriveva nel 1860 e rotti. Non è lui il coglione, ma noi marxisti incancreniti per un secolo e mezzo a cianciare del nulla del preteso “socialismo”, la formazione sociale di quelli che non sono mai diventati “produttori associati”! Già Kautsky (e Lenin non lo critica su tale punto) aveva capito che non si andava per nulla costituendo il gruppo di questi fantasmatici produttori associati. I marxisti hanno egualmente insistito sulla rivoluzionarietà del “semplice giornaliero” (o poco più su), insomma dell’operaio di fabbrica, del Charlot di “Tempi moderni”. Coglionazzi, cui ho appartenuto anch’io; tuttavia da più di vent’anni ho faticosamente iniziato una “retromarcia” e poi una “marcia” in tutt’altra direzione, di cui non parlo qui (ho scritto ben più di mille pagine in proposito ormai; eh, altro che mille!).
Tuttavia, ci sono problemi lungo la nuova via che non ho certo risolto. Il mio ultimo libro (“Navigazione a vista”) è un ulteriore passo. Poi dovrebbe uscire anche un libretto (probabilmente elettronico). E se va bene faremo un seminario nella mia cittadina, di cui verrà data notizia in “Conflitti e strategie” per prendere le adesioni (quelle certe soltanto) con mail inviata alla posta del blog. La data probabile è il 24 ottobre (pomeriggio) e il 25 (mattina) con la possibilità dello spostamento di una settimana (31 ottobre e 1° novembre). Presenterò il libro, metterò in luce i problemi irrisolti e si discuterà per andare avanti.
Beh, per il momento, salutamme!