Passi e passaggi, passato e futuro

Da Unarosaverde

C’è una foto appesa su una parete di un ufficio nell’azienda in cui lavoro.

Si vedono, ripresi di schiena, un adulto e un bambino che stanno camminando. L’adulto – si intuisce dal grigiore dei capelli e dalle pieghe della pelle del collo – si sta avvicinando alla vecchiaia. Indossa una maglietta e un paio di pantaloni nei toni del marron. Il bambino è piccolo, tre anni o giù di lì. E’ infilato in una salopette di jeans che gli sta larga, senza altro addosso, e dalle bretelle escono braccia minute e spalle abbronzate. Calza ai piedi nudi un paio di sandali simili a quelli dell’uomo che gli sta accanto.

La posa delle due persone è identica: procedono con le spalle leggermente curve, le mani intrecciate dietro la schiena, il passo coordinato, un piede avanti appoggiato al suolo e l’altro dietro piegato, sollevato a mezzo. Sono un nonno ed un nipote e la loro coordinazione non è casuale. E’ il bambino, mi raccontano, che è solito studiare i movimenti del nonno quando lo accompagna: lo affianca, ne copia la postura e intona il proprio passo sulle medesime cadenze.

Ci sono giorni in cui entro in quell’ufficio e guardo la foto sorridendo, perché è proprio una bella scena, buffa e tenera. Garantisce continuità, conferma ammirazione, sottintende complicità.

Poi ci sono giorni, come quello di ieri, in cui la stanchezza accumulata si fa sentire, in cui capitano cose che mi preoccupano, in cui sento la mancanza di ciò che avevo in modo più prepotente dell’evidenza di quello che ho.

Mi accade allora di entrare in quell’ufficio, guardare la foto, sentirmi d’improvviso un groppo in gola e pensare che la continuità, con me, ha subito un arresto e che, a ben guardare, tra tutte le cose che ho fatto e che continuo a fare, forse ne è mancata una molto, troppo, importante.