16 FEBBRAIO - Scrivo a distanza di qualche tempo dalla mia prima visita nella terra del mito, “Patagon”, degli splendidi vini che ho assaggiato a 39° di latitudine sud e provenienti da una terra ideale per vini bianchi profumati, malbec e pinot nero. Per me la Patagonia è insieme carbone e diamante. In greco adamas, “diamante”, significa indomabile. E questo è sicuramente uno degli aspetti del carattere della Patagonia, la terra della “fin del mundo”. Come il diamante, la Patagonia e’ una terra molto particolare. Contiene preziosità, risorse naturali come il petrolio, ha mille sfaccettature, sembra che brilli di luce propria e tutti riconoscono queste sue qualita’. La verita’ e’ che il diamante altro non e’ che un pezzo di carbone rimasto intrappolato sotto terra, sul quale grava sempre piu’ pressione, tanto che le molecole cambiano disposizione fino a farlo cristallizzare. Ma il carbonio, di cui è composto, è anche l’elemento fondamentale della vita sulla Terra in quanto è il componente essenziale di tutti i composti organici, dai vegetali agli animali, ed è presente anche nelle materie artificiali come la plastica. La trasformazione in diamante è data dalla presenza “fortunata” di un atomo in piu’ (che diventano quattro) rispetto alla piu’ umile grafite. E’ come la vicenda umana. In natura il diamante non è disponibile senza sforzo. Anche se può sembrare sorprendente, un prezioso diamante e una umile, ma utile, punta di grafite di una matita sono costituiti dallo stesso elemento: il carbonio. Il carbone, come la parte meno nobile dei regali che stanno nella calza della Befana, è la metafora della dura lezione che si impara affrontando la vita in Patagonia. La trama di numerosi romanzi noir. Ho scoperto il malbec, la preziosa vite dalla foglia rossa, che, come il diamante, si offre in una serie innumerevole di sfaccettature. Un altro “diamante” della corona patagonica. Così come gli splendidi spumanti metodo classico che ho assaggiato nel “caveau” di due delle “Bodegas” emblematiche, icone, dell’intera zona: Bodega NQN e Bodega Familia Schroeder a San Patricio del Chanar. Questo è un “micropaese “pioniere della “colonizzazione della meseta patagonica” dal clima freddo e secco e, come si dice in spagnolo, y bioma de estepa, di circa 6.000 abitanti, intorno ai 39 gradi di latitudine meridionale, e posto sotto le insegne della magnifica Croce del Sud, la più piccola delle 88 costellazioni moderne. Questa zona sta facendo palare di sé nel mondo grazie alla grande qualità dei suoi vini promossi da nuove ed innovative aziende vitivinicole che, soprattutto dal 2000 in avanti, hanno stupito tutti. Gli altissimi “Alamos”, tigli enormi, che le circondano sono i moderni “Patagon”. Giganti naturali, alberi posti a necessarie ed inevitabili protezioni delle meravigliose città del vino, perchè chiamarle cantine è riduttivo, costruite da uomini lungimiranti ed attenti alla salvaguardia di un altro “diamante” della Patagonia, lo splendido ambiente naturale circostante. Si stagliano verso l’alto, gli alamos, come pinnacoli di torri medievali o di cattedrali gotiche, e, parimenti alla funzione per la quale li avevano costruiti antichi architetti dell’Europa che si andava costruendo, diritti ed imperturbabili, svolgono il ruolo importante di interrompere, frastagliandola, la forza di un “nemico” impalpabile, fatto di aria, che soffia selvaggiamente, senza preavviso e con rumore assordante. Il grande impulso alla valle venne dato con la costruzione della diga Ballestrer nel 1928, realizzata su progetto dell’ingegnere idrico romano Cesare Cipolletti, nato a Roma il 30 novembre del 1843 ed emigrato in Argentina intorno alla decade del 1880. Fu uno dei precursori nello studio del sistema d’irrigazione del Río Negro ed applicò quanto appreso nell’ambito dei suoi studi sul fiume Tevere, il grande padre dell’Urbe. Fu così che, grazie all’abbondanza di acqua, l’Alto Valle del Rio Negro divenne ben presto cuore della zona di coltivazione di pere e mele. Chissà se la circostanza che mi lega a questo viaggo imperdibile , richiamo forse sottile, che mi avrebbe portato da Castelnuovo del garda, o , come lo chiamo io, Newcastle upon Gardaland, nella terra del mito, la Patagonia, non sia il fatto che io sono nato lo stesso giorno di Cipolletti. Non so se questo abbia costituito un messaggio del destino che mi ha voluto in Patagonia. Le particolari caratteristiche climatiche dell’Alto Vale del Rio Negro fecero si che l’area divenne ben presto produttrice di mele e pere di elevata qualità che offrirono prospettive di un futuro prospero a quanti si dirigevano in questa terra grande e generosa. Poi giunse anche la coltivazione della vite e con l’uva cominciò un nuovo ciclo, un ulteriore balzo nel progresso. Le Cantine “simbolo” del miracolo Patagonia sono Bodega Familia Schroeder e Bodega NQN. Ricordando il carattere patagonico della zona, si produceva un vino che molti enologi, per costruirgli una identità, denominarono il Vino speciale delle zone fredde. Tuttavia questo entusiasmo iniziale si rivelò piuttosto fragile, anche se si intuirono le grandi potenzialità dell’area e si incominciò a costruire, negli anni novanta, una prima strada del vino. Poi poco distante da San Patricio del Chanar, presso il lago Barreales, il ritrovamento in Argentina di un enorme cimitero dinosauriano, il più grande del mondo, e, come se non bastasse, la scoperta di una nuova specie di animali preistorici, portarono nell’area un rinnovato interesse. Fu qualche anno fa. Questa scoperta innescò un ulteriore volano di sviluppo, attirando uno stuolo di visitatori da tutto il mondo, mossi dal mito di una Jurassik Park in Patagonia, o come è stata definita, una vera e propria Pompei dei dinosauri. Si completò così una rete, con la strada delle mele, delle pere e del vino.
Il territorio beneficia oggi di questa rete tutta da gustare e da visitare. Tra 42 e 39 gradi di latitudine sud, la lungimiranza di alcuni pionieri e visionari dette avvio ad una storia che oggi sta stupendo il mondo. Strano ma vero, qui si guarda meno al lato spettacolare delle cantine e tutto è in armonia con la terra dei “quaranta ruggenti”. Forse in questo modo si è siglato un importante patto di sviluppo tra uomo e natura, rispettoso delle esigenze di entrambi, in un equilibrio che, ai tempi d’oggi, sa di magico e miracoloso.
Carlo Rossi