Genio o mostro? Pioniere del Modernismo o turista del sesso? Alla Tate Modern, la storia di colui che ha cambiato per sempre la pittura moderna. In una mostra che sarebbe stata meglio alla Tate Britain...
Chi più chi meno, tutti conoscono la storia di Paul Gauguin (Parigi, 1848 - Atuana Hiva Oa, 1903), colui che - abbandonata la vita borghese, la moglie e i figli - cerca la felicità nei colori del Mari del Sud.
Allora perché un’altra mostra su Gauguin? Perché attraverso le oltre cento opere (dipinti, acquerelli, sculture e intagli in legno, ceramiche, scritti e lettere) che compongono Gauguin: Maker of Myth,i curatori della Tate Modern sono riusciti a raccontare qualcosa di nuovo. E cioè che, oltre a essere un grande innovatore, Gauguin è anche un meraviglioso narratore. E che le sue storie sono intessute di sottile dramma psicologico e di sentimenti potenti, espressi con colori vigorosamente anti-naturalistici.
Ed è tutto lì sotto i nostri occhi fin dall’inizio, già nel ritratto di suo figlio Clovis addormentato (1884), la testa bionda abbandonata sul braccio, il sonno reso inquieto da incubi che sembrano materializzarsi sulla carta da parati alle spalle del bambino. Passeranno oltre dieci anni prima che Freud pubblichi L’interpretazione dei sogni (1899).
La tecnica di Gauguin è da subito immediatamente riconoscibile.
Ma è a Pont-Aven, dove ritorna nel 1888 dopo il breve soggiorno in Martinica del 1887 - e che lo porta ad allontanarsi dalle convenzioni pittoriche dell’arte europea -, che Gauguin raggiunge la piena maturità stilistica con La visione dopo il sermone (1888). Ed è qui che, sempre nel 1888, si riunisce attorno a lui un gruppo di giovani pittori di orientamento simbolista, tra cui Émile Bernard e Paul Sérusier, che fonderanno i Nabis.
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